Sapete quando la maestra trova di avere in classe uno scolaro svogliato e dallo scarso rendimento, ma che se mettesse nello studio lo stesso impegno che dedica alle sue stravaganze risulterebbe molto diligente? Accade lo stesso con i governi, che ne inventano una dopo l’altra, pur di non risolvere il problema alla radice. Il lancio di una moneta digitale garantita dall’oro diventa l’ennesima trovata, ad esempio, in uno dei paesi peggio gestiti al mondo. Stiamo parlando dello Zimbabwe, stato dell’Africa sud-occidentale, poco noto ai più.

Un tempo si chiamava Rhodesia, poi cambiò nome con l’agognata indipendenza nel 1980. I suoi abitanti pensarono finalmente che avrebbero avuto davanti un futuro luminoso, mentre non immaginavano che si sarebbero infilati in un buco nero di incompetenza assoluta e ideologia fuori dalla realtà.

Dall’indipendenza fino alla fine del 2017 fu presidente Robert Mugabe, morto qualche anno fa e che ad oggi non abbiamo capito se ci fosse o ci facesse. Agli inizi del nuovo millennio presee la decisione demenziale di espropriare le terre in mano alla minoranza bianca come risarcimento per gli espropri subiti dai neri in era coloniale. Ne seguì una redistribuzione a casaccio, con conseguente crollo della produzione agricola e degli investimenti stranieri nel paese. L’offerta si ridusse drasticamente, i prezzi dei generi alimentari e successivamente di ogni bene e servizio esplosero, dando vita nel 2008-’09 all’iperinflazione.

Perdita e ripristino sovranità monetaria

Il dollaro locale o “zim dollaro” non valse più nulla. La Reserve Bank of Zimbabwe smise persino di stamparlo. Al suo posto i cittadini usarono perlopiù il dollaro, ma anche il rand sudafricano, l’euro, lo yen, la sterlina inglese. Tutto procedette senza problemi fino al 2016, quando l’anziano dittatore tornò a convincersi della necessità di battere nuovamente moneta. Conoscendo la sfiducia totale dei cittadini verso il governo, introdusse i cosiddetti “bond note”, titoli del valore nominale di 1 dollaro locale contro 1 dollaro americano.

La gente protestò e sul mercato la nuova moneta passava di mano in mano a sconto anche del 35-40%.

Quella decisione fu determinante per alimentare il clima necessario per la deposizione di Mugabe ad opera dei suoi stessi militari. Il “nuovo” regime che ne seguì fece, però, di peggio. Nel 2018, reintrodusse lo “zim dollaro”. L’anno seguente, mise al bando il dollaro americano. Nel 2022, invece, emise la prima moneta in oro, prima di arrivare alla moneta digitale garantita dall’oro di questi giorni. Nel frattempo, l’inflazione era tornata ad alzare la testa, sfiorando l’800% nel 2020. Guarda caso, solo il recente riconoscimento dei pagamenti in dollari americani ha frenato la corsa dei prezzi, al 18,4% a settembre.

Tanto oro, poche estrazioni

Come funziona la moneta digitale? Ogni milligrammo emesso sarà venduto a 0,06 dollari. L’importo minimo acquistabile dalle persone fisiche sarà di 1.000 dollari, per le imprese di 5.000 dollari. Ai prezzi di mercato dell’oro, c’è una perfetta corrispondenza con il valore nominale della moneta digitale. L’inghippo sta nel fatto che la Reserve Bank detiene appena 350 kg di oro, qualcosa come circa 21 milioni di dollari di controvalore. A conti fatti, potrebbe stampare non più di 1,5 dollari o 25 grammi in moneta digitale per abitante.

A parte che la quantità risulterebbe obiettivamente limitata, credete che un paese fiscalmente mal gestito come lo Zimbabwe si limiti a queste cifre? Vero è che deterrebbe le seconde più grandi riserve di oro al mondo, stimate in 13 milioni di tonnellate. Ma questa è teoria pura. Sappiate che dall’indipendenza ad oggi, in media ha estratto appena 17 tonnellate all’anno di metallo giallo. Harare sta seduto letteralmente sull’oro, ma non lo estrae nemmeno per alimentare le sue riserve centrali.

Moneta digitale non risolve problemi

Questo ennesimo esperimento monetario è destinato a fallire.

Non sarà una moneta digitale a far dimenticare ai cittadini l’uso improprio che il governo fa da decenni delle banconote immesse in circolazione. La sfiducia è difficilissima da abbattere, mentre perdere la fiducia è un attimo. Infatti, in un solo anno lo “zim dollaro” è passato da un tasso di cambio di 612 a uno di 5.634, segnando un crollo dell’89%. Il cambio ufficiale, invece, resta fisso all’irrealistico tasso di 362. Sarebbe bastato liberalizzare quest’ultimo in tempo, anziché spingere i cittadini a rivolgersi nuovamente al mercato nero dei dollari americani per poter fare la spesa senza patemi d’animo. Ma uno degli stati peggio gestiti al mondo non arriva a capire, se non con anni di ritardo.

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