Ci sono stati diversi spunti positivi emersi dalla vendita del secondo pacchetto azionario di Monte Paschi di Siena da parte del Tesoro. L’operazione, avvenuta nella serata di martedì a borse chiuse con un “accelerated bookbuilding”, è consistita nella cessione di un altro 12,50% del capitale. La presenza dello stato è così scesa al 26,73%. Era sopra il 64% nel novembre scorso, quando vendette una prima tranche del 25% per 920 milioni di euro. Questa volta, l’incasso è stato di 653 milioni. In tutto, 1,57 miliardi entrati nelle casse pubbliche, a copertura perlomeno dell’aumento di capitale varato nel 2022.
Investitori stranieri interessati a Monte Paschi
Ma la vera buona notizia è forse un’altra, vale a dire l’elevato interesse all’estero. Il 91% della seconda tranche è stato piazzato tra gli investitori stranieri. Il 51% è andato in Gran Bretagna, il 34% negli Stati Uniti. Significa che Monte Paschi è ritenuta una banca profittevole anche, se non soprattutto, all’infuori dei confini nazionali. E la presenza dello stato italiano, ancora preponderante, non intimorisce più di tanto. E’ vero che un pretendente non si è ancora fatto avanti, ma questa per ora non è necessariamente una cattiva notizia come vedremo.
Dopo la vendita, il titolo Monte Paschi in borsa ha prima perso pochissimo e dopodiché è risalito a valori persino più alti. Probabile che sia cresciuto il suo appeal speculativo. In effetti, ora che lo stato è sceso a poco più di un quarto del capitale, il mercato possiede i rimanenti tre quarti. Il controllo resta in capo al primo, ma le posizioni dei singoli investitori potranno consolidarsi, specie in vista di una possibile acquisizione di terzi. In teoria, potrebbe avvenire con il lancio di un’offerta pubblica di acquisto (Opa).
Occhi puntati su Unicredit
In realtà, probabile che questi decida di limare ulteriormente la propria presenza proprio per ingolosire potenziali pretendenti e al contempo per continuare a fare cassa. Una discesa sotto il 25% si renderebbe, poi, necessaria nel caso in cui una delle altre banche italiane volesse rilevare il controllo di Monte Paschi per il mezzo di una fusione. Sopra tale soglia, il Tesoro avrebbe l’obbligo di lanciare un’Opa sul capitale rimanente. Fusione con chi? Unicredit resta la principale indiziata, nonostante da Piazza Gae Aulenti non sia filtrata alcuna apertura. Ma è anche vero che la banca milanese dispone di capitale in eccesso per svariati miliardi e che deve essere investito in qualche modo.
Diversi analisti scommettono che il suo CEO, Andrea Orcel, voglia semplicemente tirare la corda il più possibile per massimizzare il rendimento dell’eventuale acquisizione. E’ un osso duro, tanto da avere girato i tacchi nell’autunno del 2021, dopo avere avviato le trattative con l’allora governo Draghi ed essere entrato nella “data room”. Da quel tempo è passata tanta acqua sotto i ponti. C’è stato un nuovo aumento di capitale, la banca è tornata all’utile, staccherà a maggio una cedola, i rischi legali si sono sgonfiati, i crediti deteriorati compressi e il titolo Monte Paschi è esploso in borsa.
Se Unicredit s’integrasse con Monte Paschi, lo stato italiano potrebbe persino permettersi di restare nel capitale del primo entro il suddetto 25%. Il suo peso nella nuova entità nata dalla fusione si ridurrebbe al 2%, una percentuale tale da non intimorire probabilmente il resto dell’azionariato. E d’altra parte, risulterebbe ugualmente incisivo, se si pensa che attualmente sono solo cinque i soci con quote superiori al 2% (oltre alle azioni proprie di Unicredit), di cui appena due italiani (Del Vecchio e Fondazione Cassa di risparmio di Torino).
Tempi supplementari possibili
Quel “ci siamo quasi” pronunciato dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, a proposito dell’avanzamento della privatizzazione rispetto alle richieste di Bruxelles, fa intendere che le distanze con la Commissione europea siano ormai minime sul tema. Roma ha segnalato di voler cedere Monte Paschi sul mercato. Sebbene non possa ancora definirsi effettivamente privata, la banca risulta già molto meno statale di qualche mese fa. E ciò favorirebbe la richiesta di eventuali tempi supplementari per la cessione totale, altrimenti da concludersi entro l’anno.
Monte Paschi può restare anche sola
Più tempo significherebbe ridurre il rischio di svendere la quota rimanente. E forse anche per questo il titolo Monte Paschi sale in borsa dopo la vendita. Infine, se nessun cavaliere bianco dovesse presentarsi, non è detto che il piano “stand-alone” non possa riprendere corpo. La banca senese rimarrebbe autonoma. I numeri dimostrerebbero che sarebbe in grado di sopravvivere, almeno nel medio termine. Il problema riguarderebbe la governance. Senza un azionista di riferimento certo come lo stato, a chi spetterebbe il controllo? Un azionariato polverizzato non depone a favore di una gestione stabile, che è quello che vorrebbero stato e Unione Europea per una banca.