Le nomine di Mario Draghi hanno voluto confermare che il potere in questo governo di larghe intese è esercitato dal premier in tutto e per tutto. Ieri, Dario Scannapieco è stato nominato Amministratore Delegato di Cassa depositi e prestiti al posto di Fabrizio Palermo. Questi era in carica dal 2018, voluto dall’allora governo “giallo-verde”. Pur di espressione del Movimento 5 Stelle, trovava ancora il gradimento anche della Lega di Matteo Salvini.

E cambio al vertice anche di Ferrovie dello stato: via Gianfranco Battisti, anch’egli di nomina grillina e voluto al tempo dall’allora ministro dello Sviluppo, Danilo Toninelli.

Al suo posto arriva Luigi Ferraris, con esperienze a capo di Enel, Poste e Terna. Presidente sarà, invece, Nicoletta Giadrossi. I bene informati sostengono che tra poco sia il turno di Domenico Arcuri, già esautorato dal premier dal ruolo di commissario all’emergenza Covid. Probabilmente, se non certamente, sarà rimpiazzato anche nel ruolo di Amministratore Delegato di Invitalia, la società dello stato che si occupa di attirare gli investimenti.

Le nomine di Draghi riducono il peso dei 5 Stelle

Le nomine di Draghi di fatto hanno tolto ai 5 Stelle il giocattolo del “deep state”. La CDP è ormai la nuova IRI, il braccio del Tesoro per entrare nel capitale delle società e spesso anche per salvarle e fare politica industriale. E dalle Fs transiteranno 30 miliardi di euro con il Recovery Fund. Si capisce meglio la ragione per cui il premier abbia voluto metterci uomini a sé vicini, anziché conoscenze dei partiti della sua stessa maggioranza. Ma la rottura, specie con i grillini, è avvenuta anche sul piano del metodo. I ministri più influenti e qualche leader hanno avuto notizie delle nomine solo a cose fatte. Non sono state concordate.

E l’ex premier Giuseppe Conte si aspettava di essere interpellato e magari che avrebbe potuto esprimere qualche “suo” amministratore.

Non è accaduto nulla di tutto ciò. Semmai, a Di Maio è stato dato il contentino di rilasciare il suo assenso in favore di Ferraris. E anche questo aspetto affievolisce la leadership di Conte. Non è finita. Presto sarà la volta anche della RAI. Il caso Fedez è stato da molti interpretato come l’evento ideale per giustificare nomine di Draghi del tutto avulse dalla politica. Anche qui, i 5 Stelle rischiano seriamente di perdere Fabrizio Salini, AD della TV di stato.

Piano piano, Draghi sta smantellando ciò che resta dei grillini nelle stanze dei bottoni. A conti fatti, dopo questo giro di nomine Conte rimarrà senza uomini propri piazzati nei gangli del potere industriale-finanziario. E, soprattutto, vivrà il paradosso di essere stato potente quando al suo fianco vi era l’ormai odiatissimo Salvini. Al contrario, il connubio con il PD gli ha portato malissimo. Persino le speranze di costruire una coalizione progressista si stanno scontrando con le forti difficoltà di trovare candidati unitari nelle città al voto alle prossime elezioni amministrative.

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