A Butler, Pennsylvania, è andato in scena un pezzo di storia mondiale con l’attentato ai danni di Donald Trump. L’ex presidente e candidato repubblicano per le elezioni presidenziali di novembre se l’è cavata con un orecchio sanguinante. Se non avesse mosso la testa qualche secondo prima dello sparo, oggi sarebbe morto. E quasi come una certezza è arrivato l’ennesimo record per l’oro con la riapertura dei mercati di questa settimana. Il metallo giallo ha sfiorato i 1.500 dollari l’oncia.

Ancora mentre scriviamo prezza sopra i 1.465 dollari.

Attentato a Trump allunga lista tensioni geopolitiche

Il record dell’oro viene spiegato come reazione a uno scenario di tensione (geo)politica. E c’è un grosso fondo di verità. Il mondo è in subbuglio. Russia e Ucraina sono in guerra da due anni e mezzo e non se ne intravede la fine. Israele e Hamas si combattono duramente da nove mesi. Tra Cina da una parte e Stati Uniti ed Europa dall’altra è guerra di dazi commerciali e le posizioni appaiono sempre più distanti anche sul piano delle intese geopolitiche. L’Iran preoccupa il mondo arabo e l’Occidente, mentre l’Africa pende ogni giorno di più verso Russia e Cina. I Brics puntano a detronizzare il dollaro.

Di argomenti in favore delle tensioni alla base dei record dell’oro ve ne sono un’infinità. L’attentato a Trump sarebbe l’ultimo nell’ordine di tempo degli eventi avversi. Tuttavia, i mercati sono più cinicamente razionali di quanto ipotizziamo. Quando il tycoon ha alzato il pugno chiuso gridando “Fight” (Combattete) con un orecchio sanguinante, mezzo mondo ha avuto la percezione che con ogni probabilità avesse compiuto un altro grosso passo verso la rielezione. Contro di lui c’è un presidente Joe Biden claudicante, smemorato, adesso persino con il Covid.

E’ Trumpflation!

Se la rielezione di Trump è considerata ancora più probabile, perché l’oro segna nuovi record? La risposta sta in una parola: Trumpflation.

La conosciamo sin dal 2016, anno in cui il magnate sconfisse contro tutti i pronostici l’ex First Lady, Hillary Clinton. Si tratta della convinzione che la sua politica economica possa portare a un aumento dell’inflazione. Motivi? Sostegno alla crescita del Pil tramite investimenti pubblici e tagli definitivi delle tasse (in deficit), nonché dazi elevati e generalizzati contro le merci cinesi. In generale, con Trump alla Casa Bianca le multinazionali americane sarebbero “persuase” a rimpatriare almeno buona parte delle produzioni. Poiché ciò porterebbe ad una lievitazione dei costi, ecco che l’inflazione diverrebbe strutturalmente più elevata.

Record oro con rendimenti bond stabili

E il record dell’oro capterebbe questo scenario di lungo periodo. Il metallo è storicamente un asset per proteggersi dall’inflazione. D’altra parte, i rendimenti obbligazionari a lungo termine non stanno risalendo. Ciò avverrebbe in un contesto di surriscaldamento delle aspettative d’inflazione. Viceversa, Bitcoin ha registrato un rialzo in dollari del 10% ad una quotazione di quasi $65.000. Questi dati, in apparente contrasto tra di loro, ci indicano che la propensione al rischio non sarebbe scesa e che, comunque, i bond restano apprezzati dal mercato contro le incertezze. Magari l’inflazione salirà, ma senza inasprire i rendimenti dai livelli attuali. Ciò spiegherebbe il boom del metallo, le cui quotazioni generalmente si scontrano con quelle del mercato obbligazionario.

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