Due volte all’anno, ormai da diversi decenni siamo abituati a spostare avanti e indietro le lancette dell’orologio. Ci va bene, quando riusciamo a dormire un’ora in più, meno quando abbiamo a disposizione un’ora di sonno in meno. L’introduzione dell’ora legale risale proprio al periodo dell’austerity – siamo negli anni Settanta – quando sorse l’esigenza di risparmiare sui consumi di energia. Sì, lo sappiamo, è sempre stato difficile imparare a memoria la differenza con l’ora solare.

E alzino la mano quanti di noi a marzo e a ottobre non sappiano se le lancette dell’orologio debbano essere spostate avanti o indietro. Facciamo una breve ripassata: per ora legale s’intende quella convenzione di portare avanti di 60 minuti gli orologi per sfruttare meglio la luce del sole nel periodo estivo.

Come funziona l’ora legale

Per convenzione nell’Unione Europea, ciò avviene ogni anno dall’ultima domenica di marzo fino all’ultima domenica di ottobre. Le lancette dell’orologio passano dalle ore 2.00 alle ore 3.00. C’è un “salto” di un’ora che obbliga tutti noi a svegliarci prima, quando fa un po’ più buio. In cambio, però, la sera abbiamo a disposizione un’ora di luce in più. I benefici superano i costi, almeno stando ai consumi di energia. I risparmi avrebbero giustificato il mantenimento della misura in varie parti del mondo.

Ma negli ultimi anni, il cambio di orario due volte l’anno è finito nel mirino dell’Europarlamento su pressione degli stati del Nord, i quali lamentano ripercussioni negative sulla salute dei cittadini nelle aree meno insulari del Continente. Di fatto, ormai esiste libertà per gli stati comunitari di scegliere se cambiare l’orario due volte l’anno o se mantenere per tutti i dodici mesi l’ora legale o l’ora solare.

La crisi energetica sta accelerando la riflessione.

Serve contenere ai minimi i consumi di luce e gas. Per farlo, secondo la Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), contribuirebbe positivamente il mantenimento dell’ora legale anche in inverno. In pratica, dovremmo abbandonare il ritorno all’ora solare a fine ottobre. I minori costi sarebbero stimati in 1 miliardo di euro nei primi due anni, mentre le emissioni di CO2 si ridurrebbero di 200.000 tonnellate all’anno. Questo, restando in Italia.

Conseguenze sui fusi orari

E’ evidente, però, che il passaggio permanente all’ora legale non sarebbe una misura nazionale. Perlomeno servirebbe un’adesione di tutti gli stati UE. E già le prospettive che ciò avvenga risultano basse, date le diverse esigenze legate alle latitudini. Immaginate per un istante che l’Italia mantenga l’ora legale questo inverno, mentre la Germania torni puntualmente all’ora solare. Di fatto, tra Roma e Berlino si creerebbe un fuso orario di 60 minuti. Mentre nel nostro Paese sarebbero le ore 15.00, in una cittadina tedesca sarebbero le 14.00. E ciò avrebbe conseguenze dirompenti per le relazioni economiche o anche solo per prendere un aereo.

Lo sa benissimo chi lavora negli uffici commerciali, chiamato spesso a organizzarsi con precisione per riuscire a comunicare con un’azienda localizzata in un paese con un fuso orario differente dal nostro. E cosa accadrebbe se l’ora legale fosse mantenuta in tutta Europa per l’intero anno, ma non negli Stati Uniti? Il fuso orario tra Roma e New York, per fare un esempio, da inizio novembre si amplierebbe da 6 a 7 ore. Gli abitanti della Grande Mela, infatti, porterebbero le lancette indietro di un’ora, mentre noi europei no.

Diverso il caso dei paesi che adottano l’ora legale nell’emisfero australe. A Sidney, dove adesso sono alla fine dell’inverno, a inizio ottobre portano le lancette avanti di un’ora.

Le riportano indietro di un’ora, invece, a inizio aprile. In pratica, fanno l’opposto di noi abitanti dell’emisfero nord. E così, il fuso orario con Roma passa da 8 a 10 ore tra ottobre e aprile. Se mantenessimo l’ora legale, il fuso orario salirebbe a 9 ore durante il nostro inverno. Le distanze si ridurrebbero di 60 minuti.

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