Quando Mario Draghi, più o meno un anno fa di questi giorni, fu chiamato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a formare il nuovo governo, tutti i commentatori sostennero che il suo lavoro a Palazzo Chigi sarebbe durato poco, giusto il tempo di prepararsi a traslocare al Quirinale. A meno di dodici mesi di distanza, quella profezia rischia di non avverarsi per il premier. Mentre alla prima votazione di oggi per eleggere il nuovo capo dello stato sarà un diluvio di schede bianche, manca un accordo complessivo sul suo nome.

Cronistoria di Draghi al governo

Facciamo un passo indietro. Draghi arrivò a Palazzo Chigi quasi in un clima di giubilo generale. Di Giuseppe Conte e delle sue dirette in streaming sul Covid non se ne poteva più. La pochezza di quell’esecutivo era sotto gli occhi di tutti, così come la consapevolezza che non sarebbe stato il profilo adatto a gestire i quasi 200 miliardi di euro di prestiti e sussidi dell’Unione Europea. Chi, se non “Super Mario”, avrebbe potuto riconciliare la Nazione in una delle sue fasi più buie? I contagi mietevano ancora centinaia di vittime al giorno e le vaccinazioni andavano troppo a rilento per problematiche europee, non nostre.

In breve tempo, Draghi cambiò l’umore tra cittadini e imprese. Le vaccinazioni accelerano – in questo ebbe sostanzialmente fortuna – grazie all’accresciuta capacità di accaparramento delle dosi da parte della Commissione europea. I contagi man mano scesero e così anche il numero dei morti. Le restrizioni anti-Covid furono allentate, l’economia ripartì alla grande e il fabbisogno finanziario dello stato si ridusse di mese in mese. L’estate trascorse all’insegna del boom per il turismo, seppur ancora molto al di sotto dei livelli pre-Covid. Tutto procedette bene fino a dicembre, quando ancora l’Italia era l’eccezione positiva in Europa sulla pandemia: pochi contagi e morti, mentre il virus tornava a dilagare e a travolgere paesi modello nella prima fase come la Germania.

L’incantesimo si ruppe sotto Natale. La quarta ondata arrivava anche da noi e, contrariamente a quanto pensassimo, ci presentavamo a un appuntamento fin troppo noto quasi impreparati. Il governo Draghi pasticcia su green pass, super green pass, restrizioni che ci sono e non ci sono, sanzioni contr i “no vax” tra il serio e il faceto, sulle scuole sempre aperte e chiuse nei fatti per Covid, sui reparti ospedalieri tornati a riempirsi senza un piano idoneo per impedirlo. Insomma, Draghi inizia a perdere i suoi super-poteri e torna più umano. Sempre incensato dalla stampa come un dio, ma nell’ultimo mese ha assunto una dimensione più terrena.

Quirinale sempre più in salita nell’ultimo miglio

Tuttavia, quest’aura di superiorità sta trasformandosi in un boomerang. Il premier conosce poco i meccanismi politici. Egli confonde gli elogi rivolti nei suoi confronti con la stima sincera di chi glieli fa. C’è una legge non scritta e sempre valida a Roma: dal giorno dopo che un premier entra a Palazzo Chigi, i partiti lavorano per mandarlo a casa. Draghi pensava di fare eccezione, così non è (stato). Adesso che dovrebbe andare al Quirinale, chi mai lo rimpiazzerà alla guida del governo? Se è così super, allora non se ne può fare a meno. E chi spiega che continuerebbe a lavorare come premier dal Colle, va contro la Costituzione e sa di farlo.

D’altra parte, tra i parlamentari stessi che lo sostengono si è diffusa la sensazione che, tutto sommato, questa promozione Draghi forse non la meriti come pensi. La crescita economica nel 2021 è stata superiore al 6%, nettamente sopra le stime iniziali del +4,5%. Ma c’entra davvero la sua azione di governo o si è trattato di un semplice rimbalzo, si spera non del gatto morto? Stando alla Banca d’Italia, istituto che Draghi guidò tra il 2005 e il 2011, non accusabile di complottare contro il suo ex capo, da fine novembre la ripresa economica italiana si è indebolita.

Il 2022 parte poco bene, tra caro bollette e restrizioni anti-Covid che stanno pesando su consumi e produzione.

Colpa di Draghi? No, ma così come i meriti gli erano stati attribuiti in maniera sbrigativa, adesso paga pegno. L’opinione pubblica è ancora dalla sua parte per assenza di alternative credibili, sebbene nel Paese regni il malumore. Tra i “no vax”, certo, pur sempre una sparuta minoranza cocciuta e “resiliente”, per usare un termine caro al premier; ma anche tra le imprese, le quali pensavano di essersi messe alle spalle la giungla di restrizioni e confusione dell’era Conte (pensate alle ultime novità sul Superbonus); tra le famiglie, ormai stanche di vivere in un clima di perenne emergenza e con un carovita sempre più proibitivo. E i partiti, cinici e spietati, tastano l’umore della base per capire se davvero convenga loro tenersi Draghi altri sette anni a comandarli a bacchetta, quando al massimo tra un anno e mezzo se lo saranno tolto di torno.

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