Ammontano a quasi 400 miliardi di euro di valore i titoli del debito pubblico detenuti dalle banche italiane, più del 10% dei loro attivi. Si tratta di una percentuale considerevole, che crea apprensione in Europa, specie in Germania, che da anni preme sulla Vigilanza della BCE, affinché adotti misure per limitare le esposizioni degli istituti ai debiti sovrani. Il ragionamento, in sé abbastanza corretto, è il seguente: se le banche acquistano troppi titoli dello stato in cui risiedono, risentono negativamente del suo eventuale deterioramento fiscale, per cui bilanci pubblici e bancari finiscono per zavorrarsi reciprocamente.

Il debito pubblico italiano terrorizza la Germania. E alla BCE serve un Draghi dopo Draghi

Due le principali soluzioni prospettate, anche se ad oggi rimaste dibattito teorico: imporre una percentuale massima di bond sovrani rispetto agli attivi; eliminare la valutazione “risk free” ad oggi consentita per i titoli di stato, costringendo le banche ad accantonare una quota minima di capitale per coprirsi dai rischi, sulla base del rating e similmente a quanto accade con tutti i crediti privati.

Aldilà delle conseguenze d’impatto assai negative che simili misure avrebbero sulla capacità di stati come l’Italia di rifinanziarsi sui mercati, c’è un retropensiero dei tedeschi sinora poco indagato. La Germania punta piuttosto esplicitamente a una ristrutturazione del debito pubblico italiano. Non è un mistero che sin dal 2013, con l’introduzione delle CACs, le clausole che consentono tali processi di ristrutturazione per i titoli con scadenze superiori all’anno, proprio Berlino abbia voluto agevolare l’adozione di interventi a carico eventualmente dei creditori privati.

L’ostacolo delle banche italiane ai piani della Germania

Ma le banche italiane costituiscono un grosso ostacolo a tale possibile via d’uscita nel caso di bisogno. Immaginate che lo stato italiano perdesse l’accesso ai mercati e non fosse più capace di rifinanziarsi a costi accettabili.

Si troverebbe costretto ad annunciare un allungamento automatico delle scadenze (“roll over”), la sospensione dei pagamenti delle cedole, il taglio delle stesse e/o del valore nominale dei titoli da rimborsare (“haircut”). Per gli obbligazionisti, un duro colpo, come accadde in Grecia nel 2012, quando persero il 53,5% del valore investito e si videro allungate le scadenze tra gli 11 e i 30 anni. Il problema è che se il debito risultasse concentrato tra banche e assicurazioni, come nel caso dell’Italia, tale ristrutturazione sarebbe insostenibile. Ci sarebbe un terremoto finanziario di proporzioni gigantesche e che sconfinerebbe in tutta Europa, per non dire in tutto il mondo.

Ristrutturazione del debito pubblico, il cappio al collo dei risparmiatori italiani stretto da Germania e Francia

Tra banche e assicurazioni italiane, ballano circa 850 miliardi di BTp. Se il loro valore, per ipotesi, fosse tagliato del 30%, vaporizzerebbero oltre 250 miliardi di capitale investito dai due istituzionali, molti dei quali probabilmente andrebbero a gambe per aria, contagiando i settori in tutto il continente. Fino a quando il debito pubblico italiano risulterà in mano a soggetti di questo tipo, nessuna ristrutturazione sarà mai possibile. Peccato che la Germania la veda come una soluzione finale per liberarsi una volta per tutte dello spauracchio del rischio fiscale tricolore. Da qui, la richiesta pressante di allentare il legame tra banche e titoli di stato, nella speranza che ciò crei negli anni le condizioni per avverare la propria aspettativa. Non sarebbe una soluzione ugualmente indolore, nemmeno se a detenere il 100% del debito fossero le sole famiglie italiane. Ma a Berlino interessa mettere al sicuro contribuenti e sistema finanziario tedeschi. Il resto conta poco.

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