Da Pechino sono arrivate due notizie di un certo interesse questa settimana. La prima riguarda il rimpasto di governo voluto dal presidente Xi Jinping, che ha coinvolto sia il ministro della Difesa che quello degli Esteri. La seconda è stata l’approvazione del Parlamento delle maggiori emissioni di bond nell’ultimo trimestre dell’anno per 1.000 miliardi di yuan, circa 137 miliardi di dollari. La Cina da mesi ha già iniziato a tagliare i tassi di interesse. Il Loan Prime Rate ad un anno è sceso dal 3,65% di giugno al 3,45% attuale.

Piccoli movimenti, ma che vanno in controtendenza rispetto al resto delle economie mondiali.

Il Dragone ha un problema che si chiama crisi immobiliare. Il crac di Evergrande simboleggia la fine di un’era, caratterizzata da investimenti a pioggia nel settore delle costruzioni. Ci sono città-fantasma, con edifici residenziali rimasti vuoti. L’eccesso di offerta e il rallentamento della crescita economica stanno colpendo i prezzi delle case. Già tra il terzo trimestre del 2021 e il primo trimestre di quest’anno, risultano essere scesi dell’8,3%.

Occidente tra recessione e rischio crisi immobiliare

In pratica, la politica economica adottata dalla Cina in questa fase è del tutto espansiva, puntando sull’accomodamento monetario e sull’allentamento fiscale. L’Occidente sta andando nella direzione opposta. Dopo anni di stamperie monetarie e di deficit spending, Europa e Stati Uniti stanno alzando i tassi e cercando di ridurre i disavanzi pubblici. A dire il vero, quest’ultima opzione riguarda più il Vecchio Continente. Nell’Unione Europea, ad esempio, a gennaio sarà riattivato il Patto di stabilità per contenere i deficit statali e ottenere il calo dei rapporti debito/PIL.

E se la Cina stesse solamente anticipando i tempi di una svolta economica dell’Occidente? I dati macro suggeriscono che ancora l’economia americana navighi a vele spiegate. C’è la piena occupazione e il PIL cresce a ritmi relativamente sostenuti.

Tuttavia, gli scricchiolii già esistono. Anzitutto, i tassi sui mutui trentennali sono esplosi in media all’8%, ai massimi da inizio millennio. E l’indice che segnala la capacità delle famiglie di comprare casa è imploso ai minimi dagli anni Ottanta. Le compravendite immobiliari nel frattempo sono diminuite ai minimi dal 2012.

Europa e Stati Uniti sotto elezioni

Parlare di crisi immobiliare negli Stati Uniti sembra esagerato, perlomeno prematuro. Ci sono, però, i sintomi di un malessere che potrebbe trascinare l’intera economia in recessione già nei prossimi trimestri. In Europa, la crisi c’è già. La Germania ha iniziato male persino l’ultimo trimestre dell’anno con l’indice composito in calo e i servizi tornati in contrazione. E gli effetti dell’aumento dei tassi si vedranno totalmente solo nei prossimi mesi, quando verosimilmente il mercato immobiliare resterà “congelato” per il caro mutui e i consumi accelereranno la discesa.

E’ vero che l’inflazione resti un problema in Occidente, mentre in Cina esiste il rischio opposto di deflazione. Questo consente a Pechino di tagliare i tassi per cercare di rianimare l’economia domestica, opzione ad oggi impossibile per le due sponde dell’Atlantico. Ma la situazione è in veloce evoluzione. Stretta monetaria e fiscale allo stesso tempo portano matematicamente alla recessione. Gli Stati Uniti non possono permetterselo in un’annata elettorale, anche se possono disporre di maggiori margini fiscali grazie al dollaro. L’Europa stessa va al voto, sebbene le elezioni per il rinnovo dell’Europarlamento non abbiano tutta questa importanza assegnata alle elezioni americane. Infine, anche il Regno Unito voterà alla fine del 2024.

Taglio tassi Cina anticipa Occidente?

La congiuntura politico-elettorale e quella economica ci spingono a credere che il taglio dei tassi in Cina sia solo l’antipasto di quello che avverrà da noi.

Chi pensa che le banche centrali terranno il costo del denaro alto a lungo, probabilmente non ha capito la gravità di un mercato in cui il T-bond a 10 anni sta esplodendo di rendimento, rischiando di prosciugare la domanda a Wall Street. Se il rendimento non oltrepassa la soglia del 5%, quasi certamente sarà per l’intervento della Federal Reserve dietro le quinte. A forza di lanciare allarmi sull’inflazione e messaggi da “falchi” sui tassi, il tratto lungo delle curve sta salendo e le banche centrali ne stanno perdendo il controllo. Solo una svolta monetaria cambierebbe il quadro, anticipato da un cambio di toni e messaggi rassicuranti sull’inflazione.

Non a caso, magicamente gli obiettivi del Green Deal in Europa sono stati rinviati di un paio di anni. Ai commissari stessi è diventato chiaro che procedere con la transizione energetica contro ogni forma di realismo porta allo smantellamento di pezzi di industria e a forti rincari di numerosi beni. La lotta all’inflazione non può rivelarsi efficace, se a ingaggiarla è solo la Banca Centrale Europea. Serve uno sforzo di sistema, perché l’economia segnala di non riuscire a reggere a lungo questo livello dei tassi dopo un decennio di liquidità a fiumi. La Cina è più vicina di quanto immaginiamo.

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