Non sembra un buon momento sul piano politico per Giuseppe Conte. Alla vigilia delle elezioni europee, i sondaggi non sono promettenti per il suo Movimento 5 Stelle e i rapporti con il Partito Democratico di Elly Schlein restano freddi. E da Bruxelles il commissario agli Affari monetari, Paolo Gentiloni, ha tuonato contro il vanto principale dell’ex premier e suo successore a Palazzo Chigi, ossia di avere portato in Italia 200 miliardi di euro con il Pnrr. Gentiloni ci ha tenuto a precisare che non fu Conte a reclamare e ottenere quella cifra, bensì “un algoritmo ideato da due funzionari olandesi”.

La non novità sul Pnrr

Ad essere sinceri, le parole del commissario non sono affatto sconvolgenti. Chi ha seguito le trattative sul famoso Recovery Fund da 750 miliardi di euro nel 2020, sa che la ripartizione delle risorse avvenne in base alle condizioni macroeconomiche dei 27 stati dell’Unione Europea prima del Covid. All’Italia spettarono inizialmente 209 miliardi di euro, in considerazione della sua più bassa crescita economica negli anni precedenti. Insomma, non esattamente un vanto. Tant’è che l’anno successivo la cifra venne rivista a 194 miliardi, in base al fatto che l’economia italiana nel 2020 fosse cresciuta più della media continentale.

Sussidi minima parte dei fondi europei

Criteri oggettivi, dunque. E Gentiloni smantella anche un’altra menzogna portata avanti da Conte in questi anni, cioè che l’Italia sia la principale beneficiaria del Recovery Fund. In realtà, le risorse comunitarie per il nostro Pnrr ci pongono in settima posizione, dietro a paesi come Spagna e Croazia. E c’è qualcosa di cui il leader pentastellato non parla mai: dei 194 miliardi stanziati, i sussidi ammontano solamente a una settantina di miliardi. Per il resto parliamo di prestiti, denaro che dovremo restituire e che pesa già sui nostri bilanci. Non un regalo, come ci vorrebbe fare credere.

Viene da chiedersi perché Gentiloni abbia avvertito l’esigenza di smentire Conte a quattro anni dal varo del Recovery Fund. Due le probabili condizioni che hanno favorito l’outing: essere in scadenza di mandato e voler contrastare il Movimento 5 Stelle sul piano elettorale per dare una mano al suo PD. In realtà, anche quest’ultimo c’è rimasto in parte male. Ai tempi del Pnrr era ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, attuale sindaco di Roma ed esponente dem. In un certo senso, Gentiloni ha tolto al suo stesso partito un possibile argomento propagandistico per queste elezioni europee.

Debito comune europeo non grazie a Conte

L’unica certezza è che Conte non ha portato a casa 200 miliardi, ma fu il Consiglio europeo e non per la bravura dell’allora premier italiano. La cancelliera Angela Merkel voleva evitare di ripetere l’errore del post-2008, quando l’Unione Europea non riuscì a reagire unitariamente alla crisi finanziaria mondiale. E ad essere ancora più precisi, fu la Francia di Emmanuel Macron a premere sull’alleata per ottenere emissioni di debito comune. Proprio nel maggio del 2020 le cronache raccontarono dell’accordo franco-tedesco, che diede il via libera alla Commissione per il varo di quello che sarebbe stato chiamato Next Generation Eu.

Sarebbe persino il caso che Conte parlasse meno o affatto di Pnrr. Il suo governo cadde per la sua incapacità di redigere un piano credibile. Il successore Mario Draghi si mise le mani nei capelli quando dovette riscrivere gran parte del piano, che era stato concepito come un generico libro dei sogni. L’operazione non gli riuscì del tutto per la necessità di stringere sui tempi. E nell’estate scorsa il governo Meloni dovette rinegoziare parte degli obiettivi, al fine di concentrarsi maggiormente su voci di spesa pro-crescita, incentrate sugli investimenti.

Pnrr pesa sul debito pubblico

Comunque sia, non stupisce che Conte rivendichi tre misure: reddito di cittadinanza, Superbonus e Pnrr.

Tre provvedimenti di spesa a debito, che stanno già pesando sui conti pubblici italiani per diverse centinaia di miliardi di euro. E se finora il suo ideatore aveva spacciato gli incentivi edilizi come volano praticamente esclusivo per la crescita del Pil post-Covid, per Confindustria il suo contributo cumulato nel quadriennio 2021-2024 può essere stimato pari al 2,4%, un sesto del totale. Altro che incentivo che si ripaga da sé. L’unica certezza è, semmai, che sotto Conte registrammo un crollo del Pil del 9% nel 2020 in conseguenza delle sue drastiche e, spesso, demenziali restrizioni anti-Covid. In media nell’Eurozona scese del 6,1%.

[email protected]