“Prestiti deteriorati per imprese italiane: quando il tempo conta. Una ricerca empirica sulla stima della probabilità di inadempienza e della perdita in caso di insolvenza “

I prestiti deteriorati rappresentano un grave problema per il sistema bancario italiano e l'economia nazionale. E dipendono essenzialmente da un contesto giuridico avverso.
2 anni fa
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Il problema dei prestiti deteriorati in Italia

Negli ultimi anni si è assistito ad un notevole sviluppo dei crediti caratterizzati da grado di recuperabilità difficile o incerto, definiti sofferenze. Diversi fattori hanno contribuito alla crescita di questi crediti “problematici” nei bilanci dei creditori europei, principalmente legati alla recessione innescata dal crollo dei cosiddetti mutui subprime, finanziamenti immobiliari americani e la conseguente crisi internazionale degli strutturati prodotti finanziari. Questa recessione ha avuto pesanti conseguenze anche per il sistema economico europeo, e in paesi come l’Italia, dove il finanziamento delle imprese è erogato principalmente da istituti di credito, le difficoltà economiche dei mutuatari sottostanti non hanno potuto non influenzare l’attività bancaria, portando ad un significativo incremento del rischio di credito.

La recente crisi economica e finanziaria in Europa ha portato al progressivo deterioramento della qualità del credito e alla conseguente immobilizzazione delle risorse finanziarie, che potrebbero, viceversa, essere impiegate nella concessione di nuovi prestiti per lo sviluppo economico. Per gestire questo problema e ripristinare una sana e prudente gestione degli enti creditizi, è necessario accelerare il processo di attuazione delle misure regolamentari. La regolamentazione del sistema bancario europeo sta ancora affrontando un processo di armonizzazione che promuoverà la comparabilità tra gli stati membri in materia, oltre ad aumentare la stabilità finanziaria.

La legge fallimentare è stata introdotta per la prima volta nell’ordinamento giuridico italiano dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e aveva una funzione prevalentemente sanzionatoria nei confronti dell’imprenditore, considerato un soggetto deplorevole. All’inizio degli anni 2000, sull’orlo di una crisi economica profonda e globale, l’Italia si è trovata a gestire la crisi aziendale con una legislazione obsoleta e inefficace. Il Decreto Legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 è stato un primo tentativo di riformare la questione. La novità principale è stata l’introduzione dell’arte. 104, che, seguendo le cosiddette “pratiche virtuose” del tribunale, ha cercato, da un lato, di evitare la frammentazione del procedimento di liquidazione, attraverso operazioni diversificate e spesso non coordinate, e, dall’altro, di gestire una dilatazione incontrollata di tempi e costi.

 

Prima della riforma, l’attività di liquidazione è iniziata con il decreto di esecutività dello Stato passivo e le vendite sono avvenute secondo il modello della vendita per esproprio forzato. Per quanto riguarda la liquidazione in senso lato (come le azioni di conservazione dei beni e le azioni di recupero, compensative) poco o nulla è stato regolamentato. Era normale, quindi, che i costi dell’intera procedura superassero di gran lunga i beni e che questo sarebbe stato notato solo dopo che la procedura era stata completata. Pertanto, mentre la riforma del 2006 ha mantenuto la struttura originaria della legge, il legislatore, nella sua relazione illustrativa per chiarire le finalità ispiratrici della legge delega, ha inteso portare un cambio di rotta accelerando e semplificando il procedimento. Ciò mediante strumenti più adeguati e rapidi, per garantire la massima soddisfazione dei creditori.

Tuttavia, sebbene la premessa della riforma fosse chiara, nella pratica quotidiana non è stato possibile ottenere gli stessi effetti di accelerazione e snellimento della procedura sperati. Sono state quindi necessarie varie modifiche, soprattutto per quanto riguarda il programma di liquidazione. Così, una mini-riforma è seguita con la Legge n. 192 del 20 agosto 2015 e la Legge n. 19 del 30 giugno 2016 dando un ulteriore impulso alla rapida definizione delle procedure fallimentari.

Riguardo un rapporto di credito, tra le principali componenti di rischio, la Probability of Default (PD) e la Loss Given Default (LGD) sono oggetto di maggiore interesse per la ricerca finanziaria. Nell’articolo “Non-Performing Loans for Italian Companies: When Time Matters. An Empirical Research on Estimating Probability to Default and Loss Given Default” di Giuseppe Orlando e Roberta Pelosi vengono stimati entrambi i componenti. I rapporti finanziari sono usati per stimare la PD. Il tempo di recupero e la presenza del collaterale (le garanzie) sono utilizzati come covariate della LGD.

 

Lo scopo del lavoro è quello di adattare un modello logit per stimare PD e LGD per un dataset di imprese italiane, dove la PD dipende dal merito creditizio del debitore, generalmente stimato sulla base della situazione economica e finanziaria del debitore, e LGD dipende dalla natura del prestito e dalle eventuali garanzie che lo assistono laddove è tipicamente dato il tempo di recupero.

La tesi è che, mentre i fattori di rischio per i livelli di LGD sono diversi, nello studio citato il tempo necessario a rendere liquide/escutere le garanzie è ciò che principalmente determina l’esito finale. L’analisi svolta mostra come i tempi di recupero assumano una grande importanza nella determinazione del grado di perdita, più che la presenza di collaterale a garanzia del credito. Per massimizzare il recupero di un credito in sofferenza, il tempo necessario per recuperare il credito dovrebbe pertanto essere ridotto al minimo. Questo è di grande importanza per l’Italia dove la burocrazia è spesso invasiva e di ostacolo, il sistema giudiziario è lento e l’azione legale è inefficace.

Quindi lo studio conferma che il principale responsabile delle perdite economiche è il sistema di recupero gravoso e il relativo contesto giuridico. Il lungo tempo richiesto dalle procedure burocratiche italiane, in poche parole, sembra ridurre drasticamente le possibilità di recupero da controparti inadempienti causando perdite alle banche che per reazione chiedono maggiori garanzie. Una più evoluta valutazione delle garanzie che tenga conto della liquidità piuttosto che dell’importo, consentirebbe un efficientamento dei portafogli creditizi, una riduzione del contenzioso e libererebbe risorse immobilizzate come collaterale. D’altro canto, tra le riforme a costo zero per il paese (ma non per coloro che traggono beneficio dal sistema attuale e che hanno un interesse a che le cose non cambino) probabilmente sarebbe utile considerare le procedure di riscossione del credito. 

Contributo del Professor of Financial and Acturial Mathematics, Giuseppe Orlando

Riferimento bibliografico 

“Non-performing loans for Italian companies: When time matters.

An empirical research on estimating Probability to Default and Loss Given Default” – with R. Pelosi – International Journal of Financial Studies, Journals, Vol. 8, Issue 4, 9 November 2020, https://www.mdpi.com/2227-7072/8/4/68/htm

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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