E’ scontro nella maggioranza sulle parole dell’ex premier e segretario di Italia Viva, Matteo Renzi, che vorrebbe eliminare quota 100 sulle pensioni “non perché servono soldi o l’ha fatto un altro governo, ma perché è la politica più ingiusta fatta in Italia negli ultimi 25 anni”. Dal Movimento 5 Stelle è arrivata la chiusura di Luigi Di Maio, portavoce grillino e ministro degli Esteri, costretto a difendere una misura voluta dalla Lega e condivisa dal precedente governo “gialloverde”.

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Quota 100, le ipotesi di ritocco

L’ipotesi a cui starebbe lavorando il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, sarebbe di lasciare quota 100 fino al 2021, semmai cessando di rifinanziarla per gli anni successivi e lasciarla così morire, ma di mutare i requisiti di accesso.

Coloro che li hanno maturati quest’anno non dovrebbero quasi certamente subire modifiche, mentre per coloro che li matureranno dal gennaio 2020 si avrebbe uno spostamento di 3 mesi più in là per le finestre, fino all’1 luglio per i lavoratori del settore privato e all’1 ottobre per quelli del settore pubblico.

I risparmi stimati sarebbero nell’ordine dei 5-600 milioni di euro, da destinare eventualmente o al taglio del cuneo fiscale o alla detassazione degli incrementi salariali. Ma Renzi, appunto, vorrebbe che quota 100 venisse eliminata, una proposta politicamente assai insostenibile e che mette lo stesso PD, il suo ex partito, in forte imbarazzo, schierato stavolta più sulle posizioni dei 5 Stelle. Ma c’è di più: i risparmi che verrebbero reperiti dai ritocchi tecnici a quota 100 dovrebbero essere destinati per parte della maggioranza in favore dello stesso capitolo sulle pensioni.

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Il futuro della 14-esima

In particolare, i sindacati hanno chiesto al premier Giuseppe Conte di allargare la platea dei beneficiari per la 14-esima mensilità e di rendere più favorevoli anche i criteri per la rivalutazione degli assegni.

La quattordicesima spetta integralmente ai pensionati con assegno mensile non superiore a 1,5 volte il minimo di 513 euro, cioè a quanti nell’anno solare non percepiscano più di 10.003,69 euro. Per quanti percepiscano tra questa cifra e 13.338 euro, la quattordicesima viene erogata parzialmente. I sindacati chiedono di aumentare la soglia sotto la quale spetterebbe l’assegno integrale, cosa che costerebbe centinaia di milioni di euro, a seconda di quale divenisse il nuovo limite.

Gli aumenti delle pensioni

E la rivalutazione degli assegni? Dall’1 gennaio 2019 è diventata meno favorevole dei criteri vigenti fino allo scorso anno, ma pur sempre più favorevole rispetto a quelli che si sarebbero dovuti applicare in virtù della legge n.388/2000. Fino al 31 dicembre 2018, gli assegni fino a 3 volte il minimo venivano rivalutati annualmente del 100% rispetto all’inflazione ISTAT, al 90% per quelli compresi tra 3 e 5 volte il minimo e al 75% per quelli superiori a 5 volte il minimo. Da quest’anno, la rivalutazione è integrale per gli assegni fino a 3 volte il minimo, del 97% per quelli 3-4 volte superiori, del 77% per 4-5 volte il minimo, del 52% per 5-6 volte, del 47% per 6-8 volte, del 45% per 8-9 volte e del 40% sopra le 9 volte.

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Anche in questo caso, ampliare l’area della rivalutazione al 100% o aumentare la percentuale di rivalutazione per gli assegni sopra 3 volte il minimo comporta un dispendio di risorse, che dilata la già altissima spesa pensionistica dell’Italia. E’ chiaro che nella maggioranza non vi sia in corso uno scontro tra approcci ideologici alla materia, quanto una partita d’immagine tra un Renzi che intende riciclarsi in questa nuova fase politica come il principale esponente “riformista” presente in Parlamento, additando così di assistenzialismo l’area alla sua sinistra. Complici i bassi consensi accreditati dai sondaggi per il suo partito (al 3-4%), l’ex premier deve muoversi in fretta per distinguersi dal resto della maggioranza, prima di finire nel dimenticatoio per consunzione giornaliera dello stesso governo.

Il governo non cadrà sulla manovra

L’obiettivo primario non sarebbe, tuttavia, la caduta di Conte, almeno non subito. Troppo rovinosa per la sua stessa credibilità di leader, essendo stato l’artefice del bis di “Giuseppi” a Palazzo Chigi senza la Lega. All’ex segretario del PD conviene che il governo sia impopolare, ma non troppo, così che riesca senza troppi scrupoli a staccargli la spina nei prossimi mesi, al contempo non dovendo impegnarsi in una campagna elettorale difensiva sui disastri che gli italiani gli rimprovererebbero. La legge di Stabilità sarà portata a casa, votata senza grossi patemi d’animo e il bastone dell’aumento “selettivo” dell’IVA sarà accompagnato dalla carota di una qualche mancia ai lavoratori e/o pensionati, così da compensare gli effetti mediatici negativi del primo. Senza tutto questo, la stessa nascita del governo Conte si rivelerebbe essere stata inutile. La notte dei lunghi coltelli calerà da gennaio nella maggioranza.

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