“Spero che da Caivano te ne torni un po’ ammaccata”. E’ uno dei tanti messaggi sui social indirizzati alla premier Giorgia Meloni e che ha ad oggetto la rabbia di altrettanti fruitori del reddito di cittadinanza. Da settembre, 169 mila di loro perderanno il sussidio. Sono di età compresa tra 18 e 59 anni, senza minori o disabili a carico. Per gli altri debutta il Supporto per la formazione e il lavoro da 350 euro mensili in cambio dell’attesta frequenza ad un corso di formazione professionale.

E dal prossimo gennaio ci sarà l’Assegno di inclusione, una versione rivisitata del reddito di cittadinanza e tendenzialmente un po’ meno generoso.

Da sussidio temporaneo ad aiuto a vita

La fine del sussidio varato dal primo governo Conte nel 2019 avviene da settimane in un clima di proteste rabbiose. Molte manifestazioni nel Sud Italia, soprattutto nelle città di Napoli e Palermo, sono state tutt’altro che pacifiche. I toni usati dai partecipanti non si sono distinti di certo per civiltà. Resta sacrosanto rivendicare un diritto, esecrabile la tendenza a minacciare chiunque si mostri contrario o almeno dubbioso sul mantenimento del reddito di cittadinanza.

Quando questo ennesimo provvedimento assistenziale debuttò ormai quattro anni e mezzo fa, si disse da più parti che sarebbe diventata una vera “droga”. Qualche tempo più tardi, la non ancora premier Meloni lo definì “metadone di stato”. L’espressione fu molto criticata dal Movimento 5 Stelle, che del reddito di cittadinanza è stato ideatore e oggi è strenuo difensore. Ma i fatti hanno dato ragione ai critici. Il sussidio era stato spacciato dall’allora ministro dello Sviluppo, Luigi Di Maio, come un sostegno temporaneo a quei cittadini rimasti all’infuori del mercato del lavoro e intenti a ri-entrarvi.

Esplosione dell’assistenzialismo

A tale riguardo era stato creato un apparato di 3.000 navigator, rivelatosi un costo a carico dei contribuenti senza alcun beneficio concreto per i percettori.

E vogliamo ribadire che la colpa non è stata di questi poveri cristi, diventati parafulmine di un’assistenza nata sbagliata. Dalle proteste di queste settimane, invece, si nota la vera moneta di scambio: sussidi in cambio di pace sociale (e voti) al Sud. Centinaia di migliaia di cittadini si erano illusi che avrebbero continuato a percepire il reddito di cittadinanza a vita. I più volenterosi avrebbero integrato con qualche lavoretto in nero, il resto avrebbe vissuto con quel poco loro garantito dallo stato.

Negli anni, il reddito di cittadinanza è stato accompagnato da altri provvedimenti assistenziali, tra cui il varo dell’Assegno Unico di due anni fa. Per non parlare dei sostegni abbastanza generosi ai redditi bassi per fronteggiare il caro energia. Misure strutturali e altre di emergenza, ma tutte hanno generato la convinzione in molti al Sud che avrebbero potuto vivere a tempo indeterminato a carico dello stato. Sommando i vari sussidi, una famiglia può arrivare ad oggi ad incassare più di 2.000 euro al mese. Un’offesa alla dignità del lavoro e, soprattutto, di chi si alza ogni mattina per sgobbare. Tra l’altro, nei quindici anni passati la spesa per l’assistenza è raddoppiata e contestualmente il numero dei poveri è triplicato.

Reddito di cittadinanza fallimento ideologico

Ciò non significa che i sussidi temporanei a chi ha bisogno siano sbagliati o che tutti i percettori siano scansafatiche. In fondo, a protestare non è certo tutta la platea del milione di beneficiari. E’ solo una parte risibile a scendere in strada con toni e comportamenti minacciosi. Le autorità non escludono, poi, che queste proteste siano manovrate dalla criminalità organizzata, tra cui molti esponenti risultano essere percettori. Resta il fatto che il reddito di cittadinanza abbia fallito, anzitutto, sul piano ideologico.

Da sostegno temporaneo è stato gradualmente venduto dalla stessa politica come sussidio a vita.

Anziché prospettare la creazione di occupazione, gli stessi proponenti si sono prodigati nel denigrare il lavoro. Ne è scaturito un esito micidiale: milioni di persone pretendono di incassare mensilmente il reddito di cittadinanza, ritenendo che l’alternativa sarebbe solamente lavorare per essere sfruttati. Politici inetti hanno soffiato sul fuoco del disagio sociale, creando un nemico facile da combattere: l’imprenditore avido e negriero. I risultati sono le minacce di morte a chi vuole porre rimedio a questo abominio culturale.

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