Le elezioni europee sono alle spalle e hanno esitato la dura sconfitta dei governi di Francia e Germania. Il governo di Giorgia Meloni ne esce rafforzato, unico tra i grandi d’Europa. La premier si presenterà al G7 in Puglia nei prossimi giorni da padrona di casa galvanizzata dalle urne. A Roma l’attenderanno, comunque, dossier cruciali in vista della prossima legge di Bilancio. Uno di questi è la riforma delle pensioni per il 2025.

Riforma pensioni cantiere sempre aperto

La previdenza italiana è sempre un cantiere aperto senza data di conclusione per i lavori.

Non c’è stato un solo anno da molto tempo a questa parte in cui non se n’è parlato. Ci sono esigenze contrapposte da soddisfare: la necessità di far quadrare i conti dell’Inps in un’ottica di medio-lungo periodo e di garantire assegni adeguati a chi va in pensione, nonché flessibilità in uscita ai lavoratori. Soldi, soldi e soldi. Tanti!

Cerchiamo di capire quale possa essere la prossima riforma delle pensioni nel 2025, tenuto conto dell’esito elettorale. I tre partiti della maggioranza di centro-destra escono dalla prova in condizioni differenti. Fratelli d’Italia accresce i consensi rispetto alle politiche di due anni fa e sfiora il 29%. Forza Italia per un pelo non arriva al 10%, superando il test complicato della scomparsa del leader fondatore, pur avendo inglobato al suo interno Noi moderati. La Lega di Matteo Salvini è stata scavalcata dagli “azzurri” e, malgrado la candidatura del generale Roberto Vannacci, non ha sfondato. Rispetto alle politiche, tuttavia, ha anch’essa appena migliorato il suo dato.

Pensioni minime più alte

Gli equilibri nella maggioranza avranno riflessi sulle misure in cantiere, tra cui per l’appunto la riforma delle pensioni. Essi non sono mutati di molto, ma qualcosa è successo. Attenzione, in Parlamento i numeri restano gli stessi, ma la politica non può ignorare le tendenze di voto.

A rafforzarsi tra i “junior partner” di Meloni è la posizione di Forza Italia, guidata da Antonio Tajani. Questi ha promesso in campagna elettore pensioni minime a 1.000 euro al mese.

Qualcosa è stata già fatta. Nel 2023 l’assegno è stato aumentato dell’1,5% sopra l’inflazione, del 6,4% sopra l’inflazione per gli over 75. Quest’anno ha subito un’ulteriore rivalutazione extra del 2,7% e dovrebbe accadere lo stesso per il 2025, almeno secondo i piani del governo. La pensione minima per quest’anno è fissata a 614,77 euro al mese. Se il governo confermasse l’aumento del 2,7% sopra l’inflazione, indipendentemente da quest’ultima variabile l’importo mensile salirebbe sopra 631 euro.

Aumenti selettivi?

E’ probabile che Forza Italia, che deve il suo successo alle europee particolarmente al Sud e, in particolare, alla Sicilia, si batta in favore di una rivalutazione extra superiore al 2,7% già preventivato. E’ nel Meridione che si concentra il problema degli assegni bassi, a causa di carriere lavorative discontinue e del diffuso lavoro nero. Fenomeni che limitano il versamento dei contributi all’Inps e finiscono per gravare negativamente sulla vecchiaia. L’alternativa sarebbe di concentrare gli aumenti a favore di una certa fascia di età, in modo da far salire gli assegni più velocemente, pur in favore di minori beneficiari.

Quota 41 per tutti

Ma una rivalutazione eccessiva delle pensioni minime avrebbe due conseguenze negative: disincentiverebbe all’emersione del lavoro nero (perché versare contributi, se l’Inps mi erogherà un giorno una pensione mezza decente?) e ridurrebbe i margini di bilancio a favore di una più compiuta riforma delle pensioni. E qui torniamo alla Lega. L’altro vicepremier, cioè Salvini, chiede da tempo Quota 41 per tutti. Sarebbe un modo per adempiere alla promessa elettorale di “smantellare la legge Fornero”.

Quota 41 per tutti comporterebbe la possibilità di lasciare il lavoro a qualsiasi età, purché in possesso di 41 anni di contributi.

Il costo della misura fu stimato a suo tempo in qualche miliardo di euro all’anno. Troppi per un bilancio che piange. La soluzione compromissoria sarebbe quella già escogitata per confermare Quota 103 quest’anno: pensione anticipata, ma con assegno interamente calcolato con il metodo contributivo. In concreto, il lavoratore andrebbe in quiescenza prima dei 67 anni, ma accontentandosi di un importo mensile generalmente più basso del 15%, legato esclusivamente ai contributi versati.

Vera riforma pensioni difficile

Secondo le simulazioni Inps, il costo d’impatto di questa soluzione sarebbe nell’ordine di qualche centinaio di milioni all’anno per trasformarsi nel lungo periodo in un beneficio contabile. Difficile, comunque sia, parlare di vera riforma delle pensioni. Si tratterebbe di due misure dalla portata limitata nei numeri. Riguarderebbe una platea minoritaria di pensionati, specie con riferimento a Quota 41 per tutti, nonché per stanziamenti anch’essi esigui. Del resto non c’è modo di accontentare gli appetiti di tutti. Il capitolo previdenziale assorbe già risorse eccessive e sarà peggio nei prossimi anni tra calo delle nascite e aumento dei pensionati. Minime un po’ più dignitose e flessibilità senza gravare sull’Inps sono le uniche soluzioni possibili in vista.

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