L’art.39 della legge di Bilancio approvata in Consiglio dei ministri parla chiaro, pur essendo avaro di dettagli: i BTp saranno esclusi dal calcolo dell’Isee. Una misura per certi versi rivoluzionaria, seppure non del tutto inattesa. E’ da anni che i vari governi che si sono succeduti valutano i modi per incentivare le famiglie italiane ad investire maggiormente nei titoli del debito pubblico. L’obiettivo sarebbe di sottrarre parte dello stock agli investitori istituzionali, così da ridurre la speculazione internazionale ai danni dell’Italia e stabilizzare i rendimenti e lo spread.

BTp fuori da calcolo Isee misura distorsiva

Tralasciamo le riflessioni sul perché i risultati potrebbero andare in direzione opposta agli obiettivi ambiti. Le famiglie italiane stanno comprando molti più bond del Tesoro nell’ultimo anno e mezzo, ma proprio perché offrono rendimenti maggiori. In altre parole, esse pretendono una remunerazione adeguata per investire nel debito dello stato. Alla fine, non è neppure detto che il gioco valga la candela.

L’esclusione dei BTp dal calcolo Isee porta con sé qualche effetto collaterale. Già i rendimenti sovrani sono sottoposti a tassazione di favore del 12,50%. Tutti gli altri proventi di natura finanziaria scontano un’aliquota del 26%. Questo già comporta una distorsione in fase di allocazione dei capitali. Se un’azienda con rating simile a quello dell’Italia emette un bond di durata e rendimento uguali a un BTp, il rendimento netto risulterà più alto per quest’ultimo. Ne consegue che i risparmiatori preferiranno inserire in portafoglio titoli di stato, pretendendo dagli emittenti privati rendimenti lordi maggiori.

Effetto spiazzamento deprime PIL

Con la misura al vaglio del governo, si offre alle famiglie un ulteriore incentivo a comprare BTp. Pensate a un contribuente che ha in banca liquidità per 50.000 euro e reddito ai fini Isee basso e tale da poter fruire di determinate prestazioni sociali.

A quel punto, esso troverà conveniente investire in tutto o in parte i suoi risparmi in BTp, così da farsi risultare un patrimonio basso per accedere alle prestazioni ambite. Se investisse in altri asset, come azioni, obbligazioni private, Etf, fondi d’investimento, immobili, ecc., questi gli sarebbero conteggiati e gli impedirebbero di ottenere i benefici richiesti.

Dunque, l’esclusione dei BTp dal calcolo Isee accresce la distorsione nell’allocazione dei capitali. Essa favorisce gli investimenti in titoli di stato, ma contribuisce a disincentivare gli investimenti alternativi, vale a dire nell’economia privata. E ciò finisce con il ridurre il tasso di crescita di medio-lungo periodo, privando le imprese dei capitali necessari per investire, ingrandirsi e innovare. Il fenomeno è noto come “effetto spiazzamento”, dall’inglese “crowding-out”. In pratica, più BTp venduti alle famiglie equivalgono a minori investimenti privati.

Pochi prestiti bancari già a settore privato

Il problema è già presente in Italia. Basta guardare ai prestiti erogati dalle banche. Da anni, si riducono in percentuale alla liquidità depositata dai clienti, mentre cresce la quota investita in BTp. Gli istituti di credito trovano più conveniente comprare titoli di stato con rendimenti certi, anziché rischiare il denaro prestandolo ad imprese e famiglie. Questo trend non ha fatto che ridurre nell’ultimo decennio il tasso di crescita del PIL fino ad azzerarlo del tutto. La pandemia ci ha dato l’illusione di un rilancio della crescita, che altro non è stato che un classico rimbalzo dopo il crollo patito nel 2020.

In definitiva, escludere i BTp dal calcolo Isee in sé non è un’idea sbagliata. Lo stato ha bisogno di maggiore domanda da parte degli investitori individuali domestici, al fine di sopperire al calo degli acquisti dei bond da parte della Banca Centrale Europea. Purché non si pensi che si possa emettere debito senza alcuna preoccupazione sulle modalità d’impiego.

E serve anche comprendere che i flussi di risparmio finiti nei titoli di stato sono sottratti ad altre possibili forme d’investimento sul mercato domestico.

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