L’economia russa si è rivelata più resiliente delle previsioni. Gli analisti stimarono con lo scoppio della guerra che il PIL sarebbe crollato del 10% nel 2022, mentre per la banca centrale di Mosca si è ridotto del 2,5%. E secondo i calcoli di Bloomberg, entro il 2026 rischia di perdere 190 miliardi di dollari rispetto alla crescita che ci sarebbe stata in assenza di guerra e, quindi, di sanzioni dell’Occidente. Che l’evoluzione sia negativa per Vladimir Putin lo testimonia l’andamento del rublo. Vi ricordate quando nei mesi immediatamente successivi all’occupazione dell’Ucraina molti commentatori occidentali presero spunto dal cambio per criticare la presunta inefficacia delle sanzioni di Nord America ed Europa? In effetti, a giugno il rublo arrivò a guadagnare contro il dollaro oltre il 40% dai livelli pre-bellici.

Ebbene, adesso si è riportato proprio a quei livelli, cioè in area 75 contro il biglietto verde.

Gas e petrolio tradiscono Putin

Che il rublo abbia cancellato tutti i guadagni maturati durante la guerra non stupisce. Essi erano stati trainati principalmente dai controlli sui capitali imposti dalle autorità e dal maxi-rialzo dei tassi d’interesse varato dal governatore Elvira Nabiullina fino al 20%. Essi sono stati tagliati al 7,50%, mentre l’inflazione si mantiene poco sotto il 12%. Ed è assai verosimile che la debolezza recente del rublo sia legata ai prezzi in discesa di gas e petrolio.

Nell’intero 2022, il governo russo ha incassato da queste due materie prime il 22% in più dell’anno precedente, cioè circa 2.500 miliardi di rubli (36,13 miliardi di dollari al tasso medio di cambio dell’anno). Tuttavia, il prezzo del gas è crollato dell’85% dai massimi storici toccati in Europa ad agosto. E l’Unione Europea sta riducendo le importazioni dalla Russia fino a quasi azzerarle nel medio termine. Il petrolio ha subito una sorte meno drammatica, se è vero che le quotazioni sono scese “solo” di un terzo dai massimi del giugno scorso.

Anche in questo caso, però, per l’economia russa le cose si sono messe male. Gli stati europei hanno imposto un tetto al prezzo del petrolio russo. In realtà, già da mesi il cosiddetto Urals è venduto in Asia a fortissimo sconto sul Brent. A dicembre, questi è salito a 30 dollari e continuerebbe ad aggirarsi attorno a tale cifra anche in queste prime settimane del nuovo anno. In risposta a tale embargo, la produzione nazionale di greggio sarà ridotta per il mese di aprile di mezzo milione di barili al giorno.

Rublo giù con deficit su

Nel solo mese di gennaio, la Russia ha registrato un deficit fiscale di 25 miliardi di dollari. Gli analisti hanno così alzato al 3,8% il deficit atteso per l’intero 2022, sopra il 2% fissato dal governo di Mosca. Il rublo starebbe deprezzandosi per la necessità di vendere valuta straniera con cui tamponare i conti pubblici. Ricordiamo che il paese è stato tagliato fuori dai mercati finanziari. È vero che ha un basso indebitamento e che può sempre rivolgersi ad alleati come la Cina per negoziare nel breve periodo prestiti bilaterali. Ad ogni modo, non può permettersi di fare deficit con leggerezza.

C’è, infine, la questione dei 300 miliardi di dollari di riserve valutarie “congelate” dall’Occidente, quasi la metà del totale poco prima della guerra. Non si tratta ancora di un “sequestro”, hanno spiegato nei giorni scorsi dalla Commissione europea. Ma cresce la tentazione di Unione Europea e Stati Uniti di utilizzare questo denaro per le spese di riparazione a favore dell’Ucraina. Mosca dovrebbe dire addio per sempre a somme che equivalgono a circa un quinto del PIL domestico.

Le sanzioni occidentali non hanno inflitto all’economia russa il dolore atteso, in parte per effetto delle relazioni commerciali mantenute intatte tra Russia e paesi in rappresentanza del 30% del PIL globale.

Tra questi vi sono Cina e India. Resta il fatto che la caduta del rublo segnali un deterioramento macro progressivo, man mano che le due principali armi (petrolio e gas) in mano a Putin si stanno rivelando spuntate. Sarà anche per questo che i combattimenti nel Donbass si sono intensificati nelle ultimissime settimane. Il Cremlino deve cercare di chiudere l’impresa bellica il prima possibile. Non può finanziare a lungo spese militari crescenti con entrate al palo.

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