La stragrande maggioranza degli italiani non ne conosce neppure l’esistenza, pur essendo un organo previsto dalla Carta. La riforma costituzionale del governo Renzi del 2016 ne prevedeva l’abolizione, ma fu affossata dal referendum confermativo. Il Cnel, acronimo per Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro, è presieduto dall’ex ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta. Questa estate, il governo Meloni gli ha affidato un incarico delicato: produrre un documento di sintesi sul salario minimo. Le opposizioni, specie Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, invocano una retribuzione oraria per legge non inferiore ai 9 euro.

Grosso modo, nessun lavoratore dovrebbe ricevere meno di 1.500-1600 euro al mese.

Il centro-destra non è mai stato favorevole alla proposta e così ha passato la patata bollente al Cnel nel tentativo forse anche di prendere tempo. Questa settimana, l’organismo ha esitato le sue riflessioni. E sono quasi una sonora bocciatura delle proposte avanzate dal centro-sinistra. Il documento premette che la direttiva europea sul salario minimo parte dal presupposto che la sola contrattazione collettiva non sia sufficiente per garantire una retribuzione adeguata ai lavoratori. Bruxelles richiede, infatti, un tasso di copertura di almeno l’80%. Si tratta dei lavoratori coperti da contratto rispetto alla platea totale di chi svolge mansioni simili.

Retribuzione oraria non sotto 7 euro

Ebbene, stando al Cnel il tasso di copertura della contrattazione collettiva in Italia risulta del 95%, pari a 13 milioni 852 mila lavoratori dipendenti su un totale di 14 milioni e 500 mila. Già questo dato fa venire meno l’obbligo per l’Italia di conformarsi alla direttiva. Dopodiché, il Cnel spiega che la Commissione ha indicato come riferimenti per la fissazione del salario minimo il 50% del salario medio lordo e il 60% del salario mediano lordo. La differenza tra salario medio e mediano possiamo spiegarla così: il primo è dato dalla semplice divisione tra massa salariale e numero dei lavoratori; il secondo è la retribuzione percepita dal gruppo che separa sostanzialmente in due la platea dei lavoratori.

Secondo il Cnel, in Italia il 50% del salario medio corrisponderebbe a 7,10 euro e il 60% del salario mediano a 6,85 euro. Dunque, il salario minimo in Italia dovrebbe eventualmente aggirarsi sui 7 euro l’ora. Siamo ben distanti rispetto ai 9 euro proposti dalle opposizioni. La differenza sarebbe intorno ai 300 euro mensili. Infatti, stando ai criteri adottati dal Cnel la retribuzione di un lavoratore non dovrebbe risultare inferiore a circa 1.200 euro al mese. E’ evidente che c’è un problema di sostanza, più che di soli numeri. Avanzare 9 euro l’ora significherebbe distruggere il mercato del lavoro, perché la paga risulterebbe così alta da indurre le imprese a delocalizzare all’estero molte delle produzioni che richiedono l’impiego di lavoratori poco qualificati. In alternativa, il già diffuso lavoro nero dilagherebbe ulteriormente, specie al Sud.

Salario minimo di Conte-Schlein bocciato

La Cgil non ha firmato il documento e la Uil si è astenuta. Chiaramente, le riflessioni del Cnel possono essere adottate o finanche ignorate dal governo. La responsabilità politica e decisionale ricade su quest’ultimo e sul Parlamento. Brunetta e i suoi consiglieri si sono limitati ad offrire alla politica dati certi da cui partire. Non è loro compito sostituirsi alle istituzioni rappresentative. In ogni caso, una sberla per Giuseppe Conte ed Elly Schlein. La propaganda del salario minimo a 9 euro può creare eccitazione tra i lavoratori mal pagati, illudendoli che potranno guadagnare cifre molto dignitose dalla sera alla mattina per legge. La realtà è ben diversa, però. Il rischio di provocare più danni che di ottenere benefici da una simile misura appare consistente.

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