E’ stato il governatore centrale più longevo al mondo, ma questo è un record per cui ha ben poco da festeggiare. Dopo essere stato il responsabile di una delle più gravi crisi economiche nella storia recente per definizione della Banca Mondiale, non ha avuto neppure la dignità e l’onore di dimettersi dall’incarico. Ma dal 31 luglio scorso Riad Salameh non è più a capo della Banca del Libano. Il suo successore è stato individuato temporaneamente nella figura di Wassim Mansouri, uno dei quattro vice.

Si chiude così una pagina vergognosa e dalle conseguenze gravissime per Beirut. Salameh, per quanto sia solo uno dei protagonisti della crisi di questi anni, ne è stato il registra con lo schema Ponzi creato ad arte per consentire ad un sistema politico corrotto di andare avanti.

Dal cambio fisso al boom del debito pubblico

L’ex governatore s’insediò alla guida della banca centrale libanese nel 1993. Dal 1997 fissò la lira locale al dollaro a un tasso di cambio di circa 1.500. Il sistema resse apparentemente bene per oltre un ventennio. Tuttavia, le modalità per renderlo attuabile sono state a dir poco imbarazzanti. Poiché il cambio non si reggeva da solo, essendo il Libano un’economia poco competitiva, servivano artifici contabili. Nello specifico, ai libanesi fu detto che un dollaro equivaleva a poco più di 1.500 lire. Solo che non era proprio così. Per mantenere la parità, Salameh ebbe bisogno di far affluire una grande quantità di valuta straniera dall’estero. Come? Incentivando le banche domestiche ad offrire tassi di interesse elevati ai clienti stranieri. In cambio, avrebbero ottenuto tassi ancora più alti depositando quel denaro raccolto in dollari presso la banca centrale.

C’era un problema a monte. Questi interessi altissimi, anche a doppia cifra, si pagavano solo grazie all’afflusso di ulteriori capitali in dollari. E’ lo schema Ponzi per antonomasia: pago i profitti agli investitori non grazie ai rendimenti scaturiti dagli investimenti, bensì attingendo agli apporti degli ultimi arrivati.

In effetti, qui non c’era alcun investimento produttivo. I dollari servivano a finanziare una spesa pubblica fuori controllo. Tant’è che nel 2019, alla vigilia del crollo, il debito pubblico libanese ammontava ad oltre il 160% del PIL.

Crollo schema Ponzi nel 2019

Lo schema Ponzi funzionò a lungo anche grazie alle vicissitudini dei vicini di casa. Molti siriani danarosi, spaventati dal perdere tutti i risparmi a causa della guerra civile, depositarono i loro capitali nel Libano, dove potevano metterli al sicuro e ricevere persino interessi cospicui. Sembrò il paese dei balocchi. Il castello crollò nell’autunno del 2019. Le proteste contro la corruzione del governo portarono alle dimissioni l’allora premier Saad Hariri. Gli investitori stranieri temettero l’instabilità politica e, anziché portare in Libano nuovi capitali, iniziarono a richiedere indietro quelli depositati. E qui casca l’asino. Poiché di dollari in cassa non ve ne erano a sufficienza, la banca centrale si vide costretta a bloccare i prelievi.

Fu l’inizio di una crisi durissima, che ancora oggi è nel vivo. Il cambio collassa, ma ufficialmente è mantenuto a 1.500 contro il dollaro. Al mercato nero, però, si arriva a oltre 120.000 lire per un dollaro agli inizi di quest’anno. L’inflazione divampa fino all’apice del 269% nello scorso aprile. Ancora a giugno si attestava al 253,5%. Il paese scivola nella miseria più nera. La Banca del Libano liberalizza parzialmente il tasso di cambio a inizio 2023 con il mercato Sayrafa sul quale offre dollari a tassi di cambio più vicini a quelli reali. Nei fatti il cambio fisso viene abbandonato.

Mandati di cattura internazionali per Salameh

Salameh non è solo l’artefice dello schema Ponzi, ma è accusato in patria e all’estero di corruzione e sottrazione di fondi.

Avrebbe deviato centinaia di milioni di dollari dalla banca centrale sotto forma di commissioni a favore di una società di pagamenti gestita dal fratello. Nega le accuse, ma sulla sua testa spiccano due mandati di arresto internazionale in Francia e Germania. Sostiene di essere vittima di uno stratagemma per additarlo come capro espiatorio della crisi. La verità è che ha ben poco da difendere. Sebbene la devastazione economica sia stata perpetrata con la connivenza della classe politica, proprio il suo operato ha reso per decenni possibile la commissione di numerosissimi disfatti finanziari.

Sotto di lui la bilancia commerciale è stata negativa in media anche del 30% del PIL. A causa del cambio forte, il Libano non ha più esportato nulla, ha smesso di produrre per importare ogni sorta di bene. Il debito pubblico si è impennato fino al default del marzo 2020, mentre la paralisi politico-istituzionale rende tutto ancora più agghiacciante. Da quasi due anni il Libano non ha un capo dello stato, perché il Parlamento non è in grado di eleggerne uno nuovo. Non c’è un successore di Salameh con pieno mandato, proprio per l’assenza di un accordo politico. Gli stessi governi che si sono succeduti negli ultimi quattro anni sono stati fragilissimi, paralizzati dai veti incrociati tra i partiti e nati dopo lunghissime ed estenuanti gestazioni.

Fine schema Ponzi, ritorno della fiducia in Libano possibile

La fine dell’era Salameh, tuttavia, è percepita positivamente sia in Libano che all’estero. Nessuno ha voluto inviare un solo dollaro di aiuti con un governatore corrotto a capo della banca centrale. E adesso sarà meno impossibile raggiungere un accordo con il Fondo Monetario Internazionale per ottenere un prestito in cambio di riforme economiche. Mansouri potrebbe fare pressioni sul governo perché accetti un compromesso. Ha già fatto presente che non finanzierà il Tesoro in assenza di un regolare bilancio statale approvato. E vuole far passare una legge in Parlamento per limitare a 200 milioni di dollari al mese i finanziamenti allo stato.

Il problema è che il Parlamento non è in grado di legiferare, né vuole rinunciare ai soldi facili stampati dalla banca centrale. Pensate che il Tesoro avanza ben 25 miliardi di dollari solamente dalle bollette della luce non riscosse. Un importo che equivale all’intero PIL collassato.

Salameh si era rifiutato di condurre un audit su pressione delle istituzioni internazionali per capire la reale situazione finanziarie della Banca del Libano. Anche questa chiusura ha impedito l’erogazione di aiuti internazionali, bloccando l’economia nella depressione più nera. Non sarà facile risalire la china dopo un disastro così eclatante. Ma almeno l’era dello schema Ponzi è finita e all’estero si potrà confidare su un governatore apparentemente incline alla trasparenza.

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