Silvio Berlusconi è morto. Viva Silvio Berlusconi? Non proprio, non per tutti. Sarebbe ingenuo immaginare che l’uomo più divisivo d’Italia nella storia repubblicana venga improvvisamente riabilitato dai suoi detrattori. Certo, i suoi principali avversari hanno avuto dalla mattinata di ieri, quando si è appreso della sua dipartita, parole di rispetto. Persino Romano Prodi, che fu l’unico in grado di sconfiggerlo alle elezioni politiche e per ben due volte, ha tenuto a precisare che alla rivalità politica non corrispose mai inimicizia sul piano personale.

Per non parlare di Carlo De Benedetti, “arci-nemico” in tutti i sensi del Cav, che lo ha omaggiato con un “indomito combattente”.

Tuttavia, questa è solo la superficie di un’Italia che resta non solo fieramente (e legittimamente) avversaria di Silvio Berlusconi anche dopo la morte, ma persino detrattrice e schifata della sua esperienza imprenditoriale e politica. Illuminante qualche articolo pubblicato nella giornata di ieri, carico di disprezzo incontenibile verso il quattro volte Presidente del consiglio. Ma da cosa nasce tanto disgusto? L’ideologia certamente conta. Il centro-destra in Italia non è mai stato considerato alla pari con la sinistra in termini culturali e persino di diritto all’esistenza. Lo stesso governo Meloni è trattato da certa intellighenzia come “abusivo”.

Cultura di sinistra e berlusconismo agli antipodi

Tra l’altro, Berlusconi ebbe il demerito storico, agli occhi della sinistra, di avere impedito la vittoria dell’ex PCI alla prima occasione utile che gli si presentò davanti: le elezioni politiche del 1994, le prime della cosiddetta Seconda Repubblica. Tutto vero, ma c’è un aspetto determinante per capire le ragioni del disprezzo anche post-mortem. Il Cav era un imprenditore di successo, personaggio istrionico, eccentrico, ricco e al contempo popolare. Ma sia da magnate delle televisioni che come politico, egli non cercò mai di “cambiare” o “migliorare” gli utenti-elettori. Anzi, li assecondava nelle loro abitudini e nei modi di essere e pensare.

Per la sinistra è colpa gravissima, da girone infernale dantesco. La cultura post-comunista e oggi progressista ha sempre mirato a modificare i comportamenti sociali e individuali. Dall’idea di socialismo all’odierno ambientalismo, la tendenza è stata e continua ad essere quella di indicare all’uomo comune la strada delle virtù su cui incamminarsi. Berlusconi fu in ciò un autentico liberale. Non si pose mai il fine di “educare” gli altri, bensì di creare le condizioni affinché potessero esprimere al meglio la loro individualità.

La sinistra ha accusato e accusa anche in queste ore Berlusconi di tutti i vizi italici: dal parcheggio in doppia fila all’evasione fiscale, dall’edonismo alla carenza di senso civico. L’assunto è ovviamente che prima del Cav imprenditore e politico l’Italia fosse la patria delle virtù e che egli abbia, invece, corrotto le menti degli italiani con programmi “spazzatura” e un modo di governare eccessivamente popolano. Inaccettabile per i figli del gramscismo e del marxismo-leninismo, per cui le famiglie a tavola dovrebbero dibattere sui limiti del capitalismo e sulle magnifiche sorti della società socialista.

Le ragioni dell’odio verso Silvio Berlusconi

A Berlusconi non sarà mai perdonato di essere stato un italiano (“arci-italiano”, come da certi titoli di queste ore) che ha voluto rappresentare gli altri italiani sulla base di un rapporto paritario. Ha picconato così la “sacralità” delle istituzioni, dei suoi riti sonniferi e trasformato il linguaggio della politica in un perenne “Drive in” per i detrattori, “abbassandone” il livello alla portata di tutti. La sinistra non era attrezzata per tutto ciò e continua a non esserlo neppure oggi. Ritiene di essere più preparata sul terreno del dibattito “alto”, cioè escludendone dalla comprensione le fasce della popolazione a cui teoricamente fa riferimento per la rappresentanza degli interessi.

Berlusconi avrebbe “volgarizzato” affari e politica, costringendo i suoi avversari a fare i conti con i limiti del proprio elitarismo. E dopo mezzo secolo trascorso ad inseguire il sogno di rimpiazzare la DC come partito di massa, i figli dell’ex PCI hanno dovuto rivedere i loro piani e ridimensionarne di gran lunga gli obiettivi. Per assenza di concorrenti, se nel ’94 non ci fosse stata la “discesa in campo” di Silvio, la sinistra avrebbe potuto vincere a mani basse, persino con un incomprensibile Achille Occhetto a capo della “gioiosa macchina da guerra”.

Ai contestatari degli anni Sessanta, che pretendevano di rappresentare le istanze del volgo, cadeva così la maschera dell’imborghesimento. Non solo erano e restano spesso lontani dalle problematiche dei ceti disagiati, ma non sapevano e non sanno neppure dialogare con questi ultimi, tanto per decenni si sono rintanati nelle comode aule universitarie, nelle redazioni dei giornali e negli uffici dei ministeri. A Berlusconi non sarà mai perdonato di avere costretto l’auto-proclamata “élite” culturale ad inseguire l’uomo comune per ottenerne il consenso. Senza di lui, la convinzione che sarebbe bastato esistere per vincere.

[email protected]