E’ passato in sordina l’invito del governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, ad aumentare gli stipendi dei lavoratori per consentire loro di recuperare almeno parte del potere di acquisto perduto con l’alta inflazione di questi anni. Un modo, ha spiegato, per rilanciare la domanda interna. Posizione inconsueta per Palazzo Koch, che fino a pochi mesi fa ribadiva la necessità di non rincorrere l’inflazione a colpi di rinnovi contrattuali insostenibili e che si rivelerebbero “inutili” con gli aumenti dei prezzi al consumo che provocherebbero.

Un assist per i sindacati, che non lo hanno colto affatto, rimasti come sono alla battaglia sul salario minimo, più ideologica che concreta.

Unicredit migliora i premi ai dipendenti

A novembre, le banche hanno concordato con il sindacato di categoria, Fabi, un maxi-aumento delle retribuzioni per 270 mila dipendenti da 435 euro al mese, pari al +15% rispetto al contratto scaduto. E Unicredit ha annunciato che aumenterà del 40% il premio ai suoi 37 mila dipendenti, portandolo a 2.200 euro. Il cosiddetto “bonus pool“, l’incentivo di gruppo, salirà del 16%.

Da profitti record a maxi-rinnovi contrattuali

Le banche italiane escono da un’annata d’oro, avendo maturato in molti casi profitti record: 8,6 miliardi di euro Unicredit, 7,7 miliardi Intesa-Sanpaolo. In totale, ammonterebbero a non meno di 45 miliardi. Naturale che sborsino una quota maggiore a favore dei dipendenti. Ma i sindacati non ne stanno traendo la giusta lezione. Il combinato tra i rinnovi bancari e le dichiarazioni di Panetta va nella direzione di rendere obsoleta la discussione attorno al salario minimo.

In Italia, il problema dei bassi salari esiste e non è certo un’invenzione dei sindacati. In media, risultano in calo in termini reali del 2,9% rispetto al lontano 1990. Non è accaduto in nessun altro paese del mondo avanzato. Sulle cause, tuttavia, non esiste una visione concorde. Scarsa produttività del lavoro, a sua volta conseguenza di tante situazioni specifiche in negativo della nostra economia.

Tra queste, le piccole dimensioni aziendali, gli scarsi investimenti realizzati nell’innovazione, la forte competizione sui prezzi arrivata sui mercati internazionali da economie come la Cina, l’alta pressione fiscale e contributiva, la forte pressione burocratica, infrastrutture carenti, ecc.

L’obiettivo ideologico dell’appiattimento salariale

Ma i sindacati c’entrano con questo problema. Da decenni perseguono un livellamento salariale palese, che porta i lavoratori a percepire stipendi pressappoco identici, quale che sia il comparto e la specifica azienda in cui producono. L’idea di rafforzare la contrattazione di secondo livello o aziendale fa venire l’orticaria alle principali sigle sindacali, che in ciò ritengono di perdere potere negoziale e “politico” in senso lato. Fatto sta che i dati suggeriscono che sia avvenuto il contrario mantenendo una contrattazione eccessivamente centralizzata.

La battaglia sul salario minimo cela il tentativo di Cgil, Cisl e Uil, in particolare, di gettare fumo negli occhi ai loro iscritti, facendo intendere di essere pronti a tutto per recuperare i decenni perduti. Peccato che non abbiano capito cosa stia accadendo proprio in questi mesi. L’aumento dei profitti bancari ha subito portato a rinnovi contrattuali sostanziosi. E Panetta, anziché stracciarsi le vesti, ha benedetto sostanzialmente questo approccio. Nelle sue intenzioni, le imprese dovrebbero anche mettere in conto una riduzione dei margini di profitto per aumentare gli stipendi dei lavoratori senza impattare sull’inflazione.

Salario minimo scorciatoia dei sindacati

Chiaramente, affinché ciò sia possibile, è necessario che prima le imprese facciano profitti per poterli distribuire in misura maggiore ai dipendenti. I sindacati puntano sul salario minimo legale per una ragione sopra tutte: sarebbe la scorciatoia per fingere di avere portato a casa un risultato. In realtà, esso arriverebbe da una disposizione legale. Essi non muoverebbero un dito. Viceversa, se dovessero raccogliere l’invito di Panetta, dovrebbero iniziare a negoziare faticosamente comparto per comparto, azienda per azienda.

E non è un’abilità che hanno dimostrato di possedere in decenni di retribuzioni al palo.

C’è una seconda ragione per cui i sindacati preferiscono puntare sul salario minimo, anziché tentare un approccio negoziale: gli stipendi dei lavoratori varierebbero di più tra comparti e aziende. Sarebbe una sfida all’egualitarismo perseguito dal mondo sindacale, impregnato di ideologia e poco attento alle esigenze concrete della base. Non si spiega altrimenti il silenzio paradossale alle dichiarazioni del governatore. Ci saremmo aspettati reazioni dure delle imprese e applausi dei sindacati. Non è avvenuta né l’una e né l’altra cosa. Tutto molto eloquente.

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