A maggio c’è stata la quarta emissione del BTp Valore, la cui raccolta si è fermata a 11,23 miliardi di euro, oltre 7 in meno rispetto al record segnato due mesi prima dalla terza. E’ stato il segno tangibile di un rallentamento (fisiologico) della domanda di titoli di stato tra il pubblico dei risparmiatori italiani. Questi sono stati fondamentali per consentire al governo di Giorgia Meloni di perseguire la linea “sovranista” sul debito pubblico. Il dato segna un probabile passaggio del testimone dai piccoli investitori alle banche italiane.

Stando al Fabi, principale sindacato della categoria, nei primi sei mesi dell’anno avrebbero acquistato titoli di stato per 19,2 miliardi di euro, salendo a 651 miliardi. Ed è così che gli istituti tricolori deterrebbero il 22,1% dello stock complessivo, per nulla un record. Nell’aprile del 2020 erano arrivati al 28%.

Più debito pubblico in mano alle famiglie

Negli ultimi anni abbiamo assistito a un travaso degli investimenti in bond del Tesoro dalle banche italiane alle famiglie. I dati della Banca d’Italia ci dicono che il sistema finanziario domestico a fine 2021 deteneva il 37,6% del debito pubblico, mentre nel maggio scorso la sua incidenza era scesa al 33,6%. Un calo del 4%, che in valore assoluto si traduce in -28,8 miliardi. Nello stesso periodo di tempo, le famiglie del Bel Paese hanno acquistato titoli di stato domestici per oltre 220 miliardi e la loro quota è così quasi raddoppiata dal 7,9% al 14,3%.

Il “sovranismo” di cui sentiamo parlare consiste nella volontà del governo di centro-destra di riportare a casa gran parte delle passività. In pratica, meno debito pubblico nelle mani della finanza straniera e più in mani italiane, specie delle famiglie. Per quale ragione? Gli investitori domestici sarebbero meno inclini alla speculazione contro i titoli di stato, nonché meno umorali, in quanto maggiormente consapevoli della loro solidità di fondo.

Due mondi paralleli sui BTp

Sta di fatto che questa linea mostra già i suoi limiti.

Nei primi cinque mesi dell’anno le famiglie hanno acquistato titoli per 38,4 miliardi. Sono tanti, ma molti meno dei 53,7 miliardi rastrellati nello stesso periodo dell’anno scorso. La ragione è ovvia: i rendimenti stanno scendendo e i BTp non si mostrano più così tanto appetibili come nel 2023. Le istituzioni finanziarie nazionali nel contempo hanno ridotto le loro esposizioni di altri 13,9 miliardi, ma emerge che già dalla tarda primavera sarebbero tornate a guardare ai nostri bond. Perché? I tassi sui prestiti erogati scendono e i titoli di stato, che sono un investimento sostanzialmente “risk free”, appaiono più appetibili.

Sembra che ci siano due mondi paralleli, i quali tendono a ragionare in maniera diametralmente opposta sul debito pubblico. In un contesto di aumento dei tassi, le famiglie comprano e le banche italiane vendono. Quando i tassi scendono, succede il contrario. Ma questo non costituisce un limite per il “sovranismo”, bensì un punto di forza. Significa che la domanda per il debito italiano tende a rimanere elevata in qualsiasi contesto di mercato, grazie anche all’abbondanza dei risparmi interni. Direttamente o indirettamente, essi finiscono per finanziare lo stato.

Banche italiane cruciali per arginare lo spread

Del resto non ci stiamo inventando alcunché di nuovo. Le banche italiane si rivelarono fondamentali nel decennio passato per spegnere l’incendio dello spread. Hanno voglia i tedeschi ad inveire contro il rischio di doom loop, cioè di legame troppo stretto tra bilanci bancari e quello dello stato. La verità è che qualcuno il debito lo dovrà pur comprare. Altra questione che prima o poi dovremmo imparare a farne di meno, se non a smettere del tutto. Noi italiani, si sa, non disdegniamo i vizi.

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