L’Italia si conferma maglia nera nell’Ocse in tema di stipendi bassi. Insieme a Repubblica Ceca e Svezia è l’economia in cui le retribuzioni dei lavoratori in termini reali sono diminuite di più nell’area tra il 2019 e il 2023, segnando un -6,9%. E tra il 1991 e il 2023 hanno registrato una crescita di appena l’1%, sempre al netto dell’inflazione. In media, nel periodo considerato hanno segnato +32,5% tra le economie avanzate. Non è una novità per le famiglie, che da decenni si barcamenano con redditi inadeguati rispetto al costo della vita.

Il fenomeno rischia di impattare negativamente anche sulla sostenibilità futura del nostro debito pubblico.

Spread stabile grazie alle famiglie

Tra la fine del 2021 e il marzo scorso, le famiglie italiane risultano avere acquistato titoli di stato per un importo nell’ordine dei 210 miliardi di euro. Nello stesso periodo, lo stock del debito pubblico è salito di circa 216 miliardi. Questo significa che i piccoli investitori domestici hanno assorbito praticamente le emissioni nette di BTp per intero, consentendo allo spread di restare sotto i livelli di guardia e, addirittura, di scendere con l’aumento dei tassi di interesse in corso. Sarebbe potuta andare diversamente.

Il governo Meloni punta esplicitamente a “nazionalizzare” il debito pubblico, facendo in modo che le famiglie posseggano quote sempre più elevate di titoli di stato in circolazione, sottraendoli alla speculazione dei mercati internazionali. Tuttavia, questo obiettivo diventa poco compatibile alla lunga con il mantenimento di stipendi bassi. Il Tesoro può raccogliere capitali attingendo ai risparmi degli italiani. Questi o vengono impiegati direttamente o tramite il sistema bancario-finanziario.

Rischi con minori risparmi delle famiglie

In pratica, le famiglie risparmiano e con la liquidità disponibile possono decidere di acquistare BTp. In alternativa, la depositano in banca o contraggono polizze assicurative o ancora investono in fondi. Indirettamente, i loro risparmi finiscono in parte lo stesso per finanziare il debito pubblico.

Ma se gli stipendi rimangono bassi, con gli anni questo meccanismo sarà destinato ad incepparsi. I risparmi diminuiranno e con essi la propensione ad investire nei titoli di stato. Il Tesoro incontrerà maggiori difficoltà a trovare domanda sul mercato domestico. A quel punto, sarà costretto a rivolgersi a quella finanza straniera che al momento guarda con sospetto. Va da sé che ciò comporterebbe, ceteris paribus, il sostenimento di maggiori costi di emissione.

Stipendi bassi pressione sul debito pubblico

Non è l’unica ragione per temere gli stipendi bassi. Maggiori le difficoltà delle famiglie a far quadrare i bilanci, maggiore la domanda di servizi pubblici. E’ la storia degli ultimi quindici anni, nel corso dei quali i sussidi erogati sono praticamente raddoppiati. Tutto il dibattito attorno al reddito di cittadinanza, ad esempio, altro non è che lo specchio delle difficili condizioni di vita in una parte dell’Italia. Ecco perché ciò crea pressioni sul debito pubblico. D’altra parte, gli stipendi bassi riflettono un’economia scarsamente produttiva, che inevitabilmente cresce poco e non riesce a ridurre il suo grado di indebitamento. Ad oggi i riflessi sulle emissioni sovrane sono state contenute per l’abbondanza di risparmi accumulati nei decenni precedenti. Ma di rendita non si può vivere in eterno.

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