La super rivalutazione delle pensioni minime chiesta da Forza Italia è una misura giusta?

Forza Italia con Antonio Tajani chiede la super rivalutazione delle pensioni minime, un obiettivo perseguito già da Silvio Berlusconi.
2 settimane fa
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Forza Italia vuole la super rivalutazione delle pensioni minime
Forza Italia vuole la super rivalutazione delle pensioni minime © Licenza Creative Commons

Il governo Meloni è al lavoro per scrivere la prossima manovra di bilancio e già si sa che dovrebbe valere intorno ai 25 miliardi di euro. La conferma del taglio dell’Irpef e del cuneo fiscale, nonché l’eventuale estensione del primo per i redditi fino a 50-60.000 euro, assorbono gran parte delle risorse disponibili. Ma c’è un’altra richiesta che proviene particolarmente da Forza Italia ad essere oggetto di discussione nella maggioranza: la super rivalutazione delle pensioni minime.

Rivalutazione pensioni minime da Berlusconi a Meloni

Il tema è caro agli azzurri sin dagli inizi del Millennio, quando l’allora governo Berlusconi promise di aumentare gli assegni più bassi a 1 milione di lire al mese, corrispondenti agli attuali circa 516 euro.

La misura fu implementata con alcune limitazioni reddituali e anagrafiche, di fatto andando a beneficio degli over 75. Adesso che il Cavaliere non c’è più, è il suo delfino Antonio Tajani a perseguire un simile obiettivo. Non c’è più la lira e dal 2001 è passato quasi un quarto di secolo. Tagliando la testa al toro, l’ex vicepresidente della Commissione europea propone la rivalutazione delle pensioni minime a 1.000 euro al mese.

Già con la nascita del governo Meloni qualcosa si è fatto. Come sappiamo, gli assegni vanno annualmente adeguati al tasso d’inflazione. Ebbene, nel 2023 le pensioni minime beneficiarono di un aumento extra dell’1,5% e nel 2024 del 2,7%. Addirittura, gli over 75 ricevettero l’anno scorso un maxi-aumento extra del 6,4%. Grazie a questi interventi l’importo mensile si è portato a 600 euro. Resta distante dall’obiettivo di legislatura dei 1.000 euro. A conti fatti, dovrebbero lievitare ulteriormente di oltre il 60% in tre anni.

Costi monstre e scelta opinabile

Come sempre a tenere banco sono i numeri. La rivalutazione extra delle pensioni minime costa. Non è facile capire quanto, per una ragione molto semplice. Se portassimo oggi le pensioni minime da 600 a 1.000 euro, dovremmo altresì adeguare anche gli assegni che rientrano nella fascia appena superiore.

Altrimenti avremmo il paradosso che chi oggi percepisce di più, domani percepirebbe di meno dei pensionati al minimo. La spesa complessiva subirebbe un incremento monstre di 33 miliardi in un anno. E non è aria, anche perché già spendiamo troppo per le pensioni.

Al di là di considerazioni tecniche e ragionieristiche, sarebbe corretto realizzare la promessa elettorale di Tajani? La premessa è che in politica non esiste qualcosa di giusto o sbagliato. Ci sono scelte, che in quanto tali esprimono l’ordine delle priorità di chi le effettua e che sarà successivamente chiamato a risponderne ai cittadini tramite il voto. A primo acchito, la rivalutazione delle pensioni minime sembrerebbe qualcosa di estremamente condivisibile. Ci sono 2,1 milioni di percettori con assegno sotto il minimo, molti dei quali è credibile supporre che vivano in condizioni complicate.

Premio ai furbi?

In pratica, la rivalutazione delle pensioni minime si tradurrebbe in un sostegno alla fascia della popolazione maggiormente in difficoltà. Tuttavia, trattasi anche di ex lavoratori che hanno versato pochi o nessun contributo all’Inps. Anzi, molti non hanno mai lavorato, perlomeno in modo regolare. Sarebbe un’ingiustizia premiare chi si è dato poco da fare nella vita o, ancora peggio, chi ha frodato il fisco e l’Inps non versando i contributi previdenziali dovuti. Poiché il bilancio dello stato è un gioco a somma zero, se dai un euro in più ad uno, lo devi togliere ad un altro. Pertanto, rischiamo di premiare furbi e scansafatiche per penalizzare onesti e laboriosi cittadini.

Il discorso è evidentemente più complesso. Molti sono lavoratori in nero, specie al Sud, non per scelta propria. Tuttavia, prospettare pensioni minime relativamente elevate disincentiva sia a denunciare le imprese infedeli, sia a cercarsi un lavoro in regola. Se so che, indipendentemente dai versamenti, percepirò un assegno mensile adeguato, chi me lo fa fare a dare ogni mese all’Inps un terzo della mia retribuzione lorda?

Rivalutazione pensioni minime beneficia lavoratori autonomi

La rivalutazione delle pensioni minime tenderebbe a premiare anche qualche categoria notoriamente furba tra i lavoratori autonomi.

Trattasi essenzialmente di artigiani, commercianti e agricoli. Elettori perlopiù del centro-destra, in passato particolarmente di Forza Italia. C’è una categoria, invece, che contribuisce ai conti dell’Inps in misura nettamente superiore a quanto percepisce: gli ex lavoratori dipendenti del settore privato. Fosse per loro, l’ente chiuderebbe ogni anno il bilancio in forte attivo. Esso viene zavorrato, invece, dagli ex dipendenti pubblici. Anche per questo la conferma del taglio del cuneo fiscale a loro beneficio è un dovere persino morale. In un sistema in cui tutti reclamano senza averne pienamente titolo, chi tira la carretta anche per gli altri avrebbe pur diritto a pagare qualcosa di meno in busta paga.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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