Chi ci ha capito qualcosa, è davvero bravo. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dato il suo assenso all’ingresso della Svezia nella NATO. Dopo un anno di opposizione durissima, che si era acuita nelle ultime settimane, arriva il sospirato placet di Ankara. Dopo che il governo di Stoccolma aveva autorizzato una manifestazione pubblica in cui era stato bruciato il Corano, sembrava che la Turchia avesse chiuso definitivamente ogni canale di dialogo con l’Alleanza Atlantica per acconsentirne l’allargamento in Scandinavia.

Invece, nelle scorse ore è arrivato l’annuncio a sorpresa: gli stati membri saliranno presto a 32. La Finlandia aveva ratificato il suo ingresso nella NATO nella prima parte di quest’anno.

Svezia nella NATO fa infuriare Putin

Cosa ha fatto cambiare idea al “sultano”? Si profila formalmente un “do ut des”. Erdogan ha detto di sì alla Svezia nella NATO in cambio di un possibile ingresso della Turchia nell’Unione Europea. Se ne discute da oltre venti anni, ma il dossier è stato seppellito dalle crescenti diffidenze reciproche tra Bruxelles e Ankara. Il presidente turco sa benissimo che non accadrà né ora, né tra un anno, né tra dieci. E allora cosa avrà portato a casa? Soldi.

Cerchiamo di vederci meglio. Erdogan ha ottenuto il suo secondo mandato di presidente dopo il ballottaggio tenutosi il 28 maggio. Se l’è vista brutta, ma come avevamo pronosticato su questo quotidiano, sarebbe stato improbabile il trionfo dell’avversario. Da quando è stato rieletto, ha cambiato toni e atteggiamento sia in politica estera che in politica interna. Si è allontanato dalla Russia di Vladimir Putin, tra l’altro autorizzando in questi giorni il ritorno delle truppe Azov dalla Turchia all’Ucraina. Punta a riavvicinarsi all’amministrazione Biden e sta riallacciando i fili del dialogo con l’Europa. Inutile dire che il Cremlino sia su tutte le furie.

Pensava di avere un amico fidato oltre il Mar Nero, mentre si ritrova un alleato opportunista.

Lira turca e inflazione urgenze nazionali

Il fatto è che Erdogan punta a trasformare la Turchia in una potenza regionale. Per giungere all’obiettivo ha bisogno di sfruttare ogni occasione utile a proprio vantaggio. Non c’è coerenza nella sua politica estera, tranne per l’appunto l’obiettivo di accrescere il peso negoziale di Ankara. Dopo le elezioni, poi, ha dovuto rimettere mano alla governance economico-finanziaria del suo paese, che era un disastro. Al Ministero delle Finanze è tornato Mehmet Simsek dopo diversi anni, mentre a capo della Banca Centrale Turca è stata nominata Hafize Gaye Erkan. Oltre ad essere la prima donna ad assumere tale carica, è considerata un’economista con una visione ortodossa della politica monetaria.

Questo rimpasto si è reso necessario per arrestare il declino della lira turca e fermare l’altissima inflazione che affligge l’economia nazionale. A giugno, come primo atto Erkan ha rialzato i tassi dopo due anni dall’8,50% al 15%. Dovrebbe continuare su questa strada, mentre il cambio è stato indebolito del 20% e viaggia da settimane attorno a poco più di 26 contro il dollaro. Nel frattempo, la Borsa di Istanbul guadagna quasi il 40%. Stanno tornando ad affluire i capitali stranieri a ritmi che non si vedevano dal novembre del 2021.

Erdogan strizza l’occhio ai capitali dell’Occidente

Cosa c’entra questo non l’avallo della Svezia nella NATO? Erdogan non è stupido. Egli è consapevole che i capitali di cui la Turchia ha bisogno, arrivano dall’Occidente. E che per questo deve ingraziarsi proprio Nord America ed Europa per mostrarsi più rassicurante verso i loro investitori. Se riuscirà nell’impresa di riguadagnarsi la loro fiducia, serviranno minori sacrifici per stabilizzare i prezzi al consumo. Erkan dovrà alzare i tassi meno del previsto, cosa che già soddisferebbe il presidente, autoproclamatosi “nemico degli interessi”.

Ed è probabile che la svalutazione della lira si rivelerà meno drammatica delle stime.

La parola chiave per descrivere l’atteggiamento di Erdogan è “opportunismo”. Egli è filo-putiniano quando ritiene che su quel versante potrà ricevere qualche favore positivo per l’economia turca. Ridiventa un alleato dell’Occidente per garantirsi i suoi capitali ed evitare una recessione. Resta da vedere che questa tattica funzionerà. L’erraticità di questa linea politica rischia di alienargli le simpatie non solo dei leader politici, ma dello stesso mercato. Non è facile portare i capitali in un paese in cui la geopolitica può mutare da un giorno all’altro in base all’umore del suo capo di stato.

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