Il prezzo del carburante alla pompa risulta essere oggi più alto di quando è iniziata la guerra tra Russia e Ucraina, nonostante a marzo il governo Draghi abbia varato il taglio delle accise per complessivi 30,5 centesimi al litro nel caso di benzina e diesel (IVA inclusa). Attualmente, un litro di verde mediamente supera in Italia gli 1,90 euro al litro con la modalità self service. Questo significa che il prezzo rischia di portarsi sopra 2,20 euro con la scadenza del taglio delle accise l’8 luglio prossimo.

E l’inflazione in Italia è esplosa al 6,9% a maggio, il dato più alto dal 1986. Se il carburante rincarasse di una trentina di centesimi, il dato esploderebbe ulteriormente. Sarebbe devastante per le famiglie.

Per questa ragione, il governo Draghi medita un’ulteriore estensione del taglio delle accise. Addirittura, come richiedono le associazioni dei consumatori, non esclude anche l’aumento del taglio. Chiaramente, la misura costa. Con i due decreti varati a marzo e aprile, lo stato ha messo a disposizione la media di 1 miliardo di euro al mese per finanziare il taglio delle accise. Questo significa che l’ipotesi di estenderlo fino a tutta l’estate costerebbe almeno altri 2 miliardi. Se, invece, l’estensione arrivasse al 31 dicembre, servirebbero altri 5,5 miliardi.

Taglio delle accise finanziato dall’IVA

Da dove attingere per finanziare tale misura, oltremodo popolare? Il sottosegretario all’Economia, Maria Cecilia Guerra, ha dichiarato che l’intento dell’esecutivo sarebbe di utilizzare l’extra-gettito IVA. In sostanza, succede che con il boom dei prezzi energetici (e non solo), le famiglie italiane sono costrette a spendere di più per fare acquisti. Male per le loro tasche, non per le casse dello stato. Infatti, l’aumento dei prezzi sostiene le entrate derivanti dall’IVA. Nel primo trimestre dell’anno, risultano aumentate di oltre 6 miliardi.

Questo extra-gettito IVA può essere utilizzato per frenare i prezzi “sensibili”, carburante in testa.

Dunque, il taglio delle accise sarebbe così grosso modo finanziato anche per i mesi prossimi. A favore di tale soluzione anche l’andamento dei conti pubblici nei primi cinque mesi del 2022: fabbisogno finanziario sceso di circa 33 miliardi su base annua. Significa che l’obiettivo del governo di centrare un deficit al 5,6% del PIL non sarebbe per il momento minacciato. Questo non significa che si possa abbondare nelle misure di spesa o nella riduzione delle entrate fiscali. Il deficit è pur sempre altissimo, ben oltre il limite massimo del 3% imposto dal Patto di stabilità. Pur sospeso, questo entrerà nuovamente in vigore nei prossimi anni. E già a maggio la Commissione ha tirato le orecchie all’Italia sull’eccessiva spesa corrente.

Difesa necessaria dei consumi

Il taglio delle accise, però, servirebbe a tutelare proprio i consumi, ossatura del nostro PIL. Essi vi incidono fino al 59%. Se il potere d’acquisto venisse meno in misura eccessiva, ripiegherebbero e dopodiché farebbe lo stesso PIL. Inoltre, un’inflazione più bassa riduce alcune voci di spesa, come quella per le pensioni indicizzate. Ma sia chiaro che il taglio delle accise ce lo pagheremo da soli: pagando di più frutta, verdura, pane, pasta, pesce, carne, luce, gas, mobili, biglietti aereo o anche un taglio di capelli.

[email protected]