La legge di Bilancio per il 2024 è in lavorazione. Le risorse a disposizione del governo Meloni saranno pochissime. La frenata del PIL incide negativamente sui conti pubblici, mentre la revisione al rialzo della crescita negli anni passati da parte dell’Istat rema a favore. Peccato che i benefici ottenuti siano stati già più che dissipati dagli extra-costi legati al Superbonus 110 e altri bonus edilizi. Una delle poche certezze sulla manovra di settembre è che la maggioranza di centro-destra intende lanciare un segnale inequivocabile agli italiani sulle tasse.

In previsione c’è il taglio delle aliquote Irpef sin dal 2024. Nulla di eclatante, ma quanto basta per cercare di abbassare la pressione fiscale in una fase di compressione dei redditi reali a causa dell’alta inflazione.

Verso accorpamento prime due aliquote Irpef

L’ipotesi a cui lavorano i tecnici del Ministero dell’economia riguarda l’accorpamento delle prime due aliquote al 23% e al 25%. Ad oggi, i contribuenti pagano il 23% sui redditi fino a 15.000 euro all’anno e il 25% da 15.001 fino a 28.000 euro. Dall’anno prossimo, il 23% arriverebbe fino a 28.000 euro. A beneficiarne sarebbero 24 milioni di contribuenti per un risparmio medio stimato in 160 euro. Costo dell’operazione: quasi 4 miliardi.

Ad esempio, se un contribuente guadagna 25.000 euro, grazie al previsto taglio dell’Irpef risparmierebbe 100 euro di imposta all’anno. Non è tanto, ma la direzione perlomeno è giusta. Con questo avvio di riforma, gli scaglioni scenderebbe da quattro a tre. Erano cinque fino al 2021, prima che il governo Draghi a sua volta li riducesse di uno. Ecco quali sarebbero dopo l’eventuale taglio Irpef nel 2024:

  • 23% fino a 28.000 euro;
  • 35% da 28.001 a 50.000 euro;
  • 43% sopra 50.000 euro.

Spesa pubblica senza freni

Quando c’è da tagliare le tasse, tutti i governi trovano complicato reperire le dovute coperture finanziarie, le quali a volte non ci sono e lasciano spazio a nuovo debito. Il punto è che serve guardare al bilancio statale nel suo insieme per capire che le risorse ci sarebbero, se solo riuscissimo a porre un freno alla spesa pubblica.

L’anno scorso, essa ha inciso per il 56,8% del PIL. Prima del Covid, pur altissima, era ancora al 48,5%. Quest’anno è attesa in calo al 54,4% e nel 2024 al 52,4%. La normalizzazione resta lontana. Pur scorporando la spesa per interessi, le uscite dello stato ogni anno superano il 48%.

A proposito, chi vi dicesse che la spesa pubblica stia lievitando a causa della maggiore spesa per interessi, starebbe mentendo. Questa voce, pur in crescita, ha assorbito il 4% del PIL nel 2022 contro il 3,6% del 2019. In altre parole, la spesa primaria è salita in soli tre anni dal 44,9% al 52,8%, ben otto punti percentuali. Va bene la lotta alla pandemia, va bene il sostegno contro il caro energia, ma la situazione è evidentemente sfuggita di mano. Se solo tornassimo ai livelli pre-Covid – ripetiamo, già altissimi – riusciremmo a varare un taglio dell’Irpef in versione maxi. Altro che guardare ai centesimi!

Taglio Irpef 2024 sarebbe maxi con spesa pubblica a bada

Certo, l’alta inflazione sta colpendo i conti pubblici in vari modi. Ad esempio, sta facendo esplodere la spesa per le pensioni e facendo ripartire le legittime rivendicazioni dei dipendenti pubblici in attesa di rinnovo di contratto. Ma come ha dimostrato il caso del reddito di cittadinanza, una volta che alcune voci di spesa attecchiscono, eliminarle diventa molto difficile. E negli ultimi anni la politica dei bonus a pioggia ha portato alla diffusione di una mentalità per cui lo stato debba caricarsi delle ristrettezze finanziarie delle famiglie per consentire loro di consumare, anziché prodigarsi per rimuoverle. Solo che da gennaio torna il Patto di stabilità. Riformato o meno, poco importa. Torneremo coi piedi per terra.

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