Il Dl Semplificazioni è stato approvato da entrambi i rami del Parlamento ed è legge. Trattasi di una serie di norme “omnibus”, collegate alla legge di Stabilità 2019, tra le quali avrebbe dovuto esservi pure l’inserimento della Tari nella bolletta della luce, come da emendamento della Lega presentato a metà gennaio. Ma nel testo del decreto la misura non compare, per cui sarebbe saltata, magari rinviata. Gioiranno gli utenti, particolarmente quelli che sinora hanno trovato il modo di non pagarla, mentre tra i sindaci si sarà levata la delusione.

Ci sperava fortemente, ad esempio, il primo cittadino di Catania, Salvo Pogliese, che subito dopo la vittoria alle elezioni amministrative del maggio scorso si è trovato in eredità un Comune dichiarato in dissesto finanziario dalla Corte dei Conti. I tributi non versati all’ente dai suoi concittadini vengono stimati in una settantina di milioni di euro all’anno, di cui 40 relativi proprio alla Tari.

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La Tari è la tassa sui rifiuti urbani, che mediamente incide per il 30% delle entrate comunali. Il tasso di evasione su base nazionale è stimato al 20% dalle regioni, ma il problema riguarda essenzialmente il Meridione. Si consideri che, sulla base dei dati presentati dagli enti locali, il tributo sarebbe evaso mediamente per 35 euro a testa in Italia, ma con notevoli differenza tra le diverse latitudini, variando dagli 0,2 euro pro-capite della Valle d’Aosta ai 122 euro del Lazio. E quest’ultima, insieme a Sicilia (77 euro pro-capite) e Campania (63) incide per ben oltre i due terzi (68%) dell’evasione totale, ossia per quasi 1,5 miliardi su un totale di 2,16 miliardi, nonostante nelle tre regioni viva solo il 27,6% della popolazione nazionale residente. Virtuoso il nord, con l’evasione media che scende ad appena 5 euro pro-capite nel Veneto, a 6 euro in Lombardia, 10 in Friuli-Venezia-Giulia, 1 in Trentino-Alto-Adige, per salire a 22 in Liguria e 18 in Piemonte.

Complessivamente, il Settentrione evade per appena meno del 10% del totale, pur rappresentando il 38,5% della popolazione.

Ma torniamo alla Tari in bolletta. L’idea della Lega consisteva nel consentire ai comuni in dissesto o che presentino una condizione finanziaria tale da non rendere possibile l’erogazione dei servizi di riscuotere la tassa caricandola sulla bolletta della luce. Così com’è avvenuto sin dal 2016 con il canone Rai, sarebbe il modo per costringere moltissimi dei contribuenti evasori a pagare il tributo, rendendo possibile abbassarne l’aliquota, premiando i contribuenti onesti e permettendo agli enti di incassare maggiori risorse a copertura delle spese relative al servizio.

Sindaci disarmati contro l’evasione dilagante

Il problema, come dicevamo, riguarda il centro-sud, dove in molte zone il tasso di evasione raggiunge e supera il 50%. E quando un contribuente su due non paga un tributo, non esistono soluzioni efficaci che tengano. I comuni vanno in dissesto, impossibilitati praticamente a riscuotere milioni di euro accertati. Oltre a inviare un sollecito di pagamento, di fatto i sindaci non possono. Azioni come il fermo amministrativo, il pignoramento fino a un quinto dello stipendio e della pensione e l’ipoteca sugli immobili per somme superiori a 12.000 euro lasciano il tempo che trovano, non solo perché sarebbe fattivamente impossibile perseguire in un grosso comune decine di migliaia di utenti in siffatto modo, bensì anche per l’assenza spesse volte di beni pignorabili intestati al titolare della cartella esattoriale.

Tasse alte e non l’evasione fiscale vera emergenza nazionale dell’Italia

Intendiamoci, quella della Tari nella bolletta della luce sarebbe una soluzione estrema e in sé opinabile. Come giustamente lamentano i gestori del servizio elettrico, si rischia di punire gli utenti più efficienti, quelli che risparmiano sui consumi e contribuiscono alla riduzione dell’inquinamento, divenendo la tariffa più opaca, in quanto oberata sempre più da voci poco o affatto attinenti al servizio stesso, come già il canone Rai.

In altre parole, le compagnie sono oberate di oneri e incombenze, che nulla hanno a che vedere con il loro lavoro. Tutto ciò è il riflesso di una macchina pubblica collassata, incapace di svolgere il proprio compito e che si trova costretta ad appaltarlo ai privati, i quali vengono chiamati a sostituirsi sostanzialmente allo stato nella fase di riscossione delle imposte.

Altro aspetto da non sottovalutare riguarda le famiglie realmente in condizioni di disagio economico. Come si eviterebbe con la Tari in bolletta che a chi davvero non sia in grado di pagare la tassa sia staccata la luce? Si rischia, cioè, di penalizzare i veri non abbienti e di sovraccaricare gli enti locali di migliaia di richieste di esenzione/proroga dei pagamenti da parte di quanti non sarebbero altrimenti in grado di pagare. E sarebbe difficile, in ogni caso, discriminare tra reali indigenti e semplici allergici alle tasse. Per non parlare del caos che si creerebbe con il cambio di gestore da parte dell’utente-contribuente.

Il circolo vizioso che porta al dissesto

Quando un cittadino-utente su due non paga un tributo, il fenomeno non si configura nemmeno più come di sola evasione fiscale, quanto di allarme sociale. Cos’è accaduto? La crisi ha spinto milioni di famiglie sull’orlo dell’indigenza o nell’indigenza reale. Molti contribuenti non hanno goduto più di redditi sufficienti per compiere il loro dovere. Nel frattempo, il livello dei servizi offerti al sud ha subito un crollo verticale, perché alle consuete inefficienze che spesso si riscontrando nel Meridione si sono sommati gli ammanchi nelle casse comunali, innescandosi un circolo vizioso, per cui molti utenti oggi si rifiuterebbero di pagare la Tari, notando strade sporche, scarsi risultati dalla raccolta differenziata e, in generale, servizi locali scadenti. C’è tanta giusta protesta in quell’oltre 50%, che dal Lazio in giù in molte province e regioni evade la Tari.

Non è l’evasione fiscale il problema dell’Italia, ma la spesa pubblica

Tuttavia, due le cose: o lo stato alza bandiera bianca e trova il modo di finanziare altrimenti i comuni o deve escogitare un sistema per riscuotere l’accertato. Con tassi di evasione così elevati, infatti, nemmeno le amministrazioni con buone intenzioni e tendenzialmente efficienti sono in grado di fare granché. Catania, la decima città più grande d’Italia, dichiarata in dissesto per un debito accertato di 1,6 miliardi di euro, è l’esempio di come il mix tra disagio sociale ed evasione dilagante sia capace di paralizzare l’azione amministrativa, a partire dalla semplice erogazione degli stipendi ai dipendenti comunali, si badi bene, non solo ai lavoratori legati al servizio della raccolta dei rifiuti, perché di ammanco in ammanco, il “buco” nei conti diventa una voragine che si allarga ogni anno di più.

Al centro-sud bisogna riscrivere il patto che lega cittadini e amministratori. I primi hanno diritto ad ottenere servizi efficienti come al nord, non essendo italiani di serie b, ma al contempo devono sentirsi in dovere di pagare tali servizi. I secondi devono mettersi in testa che la minimizzazione delle aliquote costituisce la condizione necessaria, affinché il maggior numero dei contribuenti assolva al proprio dovere. E tra alte tasse e servizi scadenti, al sud spesso ci si chiede in tutta onestà per quale santa ragione si debba pagare. La Tari in bolletta è una soluzione che si poteva e doveva evitare, ma che oggi appare urgente da adottare per l’impossibilità di trovare vie alternative. I cittadini onesti non subirebbero alcun danno dalla misura, anzi ne uscirebbero vincitori, potendo ambire realisticamente a una riduzione della tariffa in tempi brevi. I furbi la troverebbero ingiusta, eppure ingiusto è che godano degli stessi servizi del vicino di casa ligio al dovere e che spesso, magari, nemmeno vive in condizioni economiche migliori di loro. Resta semmai il dubbio su come evitare di colpire le fasce più disagiate, che rischierebbero di trovarsi al buio nel caso non fossero davvero in grado di pagare la super-bolletta.

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