Chi profetizzava fino a pochi mesi fa la recessione per l’economia americana e crolli delle borse, è rimasto ad oggi assai deluso. Il Pil negli Stati Uniti è cresciuto dell’1,3% nel primo trimestre, pur in rallentamento dal +3,4% del trimestre precedente. E per quanto riguarda Wall Street, l’indice S&P 500 ha messo a segno quest’anno un altro aumento del 15%. E dire che la fase peggiore sarebbe tecnicamente alle spalle, con i rendimenti obbligazionari che hanno già raggiunto il picco e nei prossimi mesi dovrebbero scendere con il taglio dei tassi di interesse a livello globale.

E ci sono pochi titoli in borsa che stanno facendo la differenza.

Tre società intorno a 3.000 miliardi di market cap

Avrete senz’altro sentito parlare di Nvidia, il colosso dei chip le cui quotazioni sono letteralmente esplose grazie al business dell’Intelligenza Artificiale. Quasi +130% da inizio anno, +190% in un anno e +2.550% in cinque anni. Nei giorni scorsi, è diventata la società con il più alto valore di mercato o market cap al mondo, superando nettamente i 3.000 miliardi di dollari. Al termine della seduta di ieri risultava terza con 2.905 miliardi, dietro a Microsoft con 3.327 miliardi e ad Apple con 3.191 miliardi. In tre sedute, infatti, ha perso 430 miliardi.

Tra queste tre società si gioca quotidianamente la battaglia per essere primi al mondo in fatto di capitalizzazione. Insieme, fanno qualcosa come 10.000 miliardi. Sommando anche gli altri tre titoli di borsa con market cap superiore ai 1.000 miliardi – Alphabet (2.223), Amazon (1.931) e Meta (1.265) – arriviamo a sfiorare i 15.000 miliardi. Insieme fanno il 31% dell’intero indice, che a sua volta indice per il 45% dell’intera capitalizzazione mondiale. In sintesi, soltanto sei titoli in borsa e tutti americani equivalgono al 14% dell’intero market cap globale.

Concentrazione di mercato elevatissima

Siamo dinnanzi a una concentrazione senza precedenti. Da tempo ci si interroga sulle ragioni.

Più di un analista nota che gli investimenti passivi tramite gli Etf potrebbero alimentare un circolo virtuoso (o vizioso, a seconda dei punti di vista) in favore di alcuni titoli in borsa già molto capitalizzati. Se da un lato questo discorso può essere in qualche caso vero, dall’altro esso è più complesso. Nel primo trimestre dell’anno, ad esempio, Nvidia ha maturato un utile netto di 14,881 miliardi contro i 2,043 miliardi di un anno prima. L’aumento è stato del 628%. E si prevede che continuino a crescere, giustificando entro pochi trimestre le quotazioni azionarie.

Dunque, questi titoli in borsa rifletterebbero più semplicemente un fenomeno visibile negli ultimi anni: la concentrazione della ricchezza nelle mani di poche società. Un trend che si spiega con gli elevati margini di profitto che poche grandi realtà riescono a maturare grazie agli ingenti investimenti realizzati negli anni passati e che hanno permesso di raggiungere posizioni di dominio (quasi) assoluto sui rispettivi mercati. Prendete Google: non ha concorrenti che tengano. Ciò gli ha consentito di fatturare oltre 307 miliardi nel 2023 e di guadagnare quasi 74 miliardi.

Pochi titoli in borsa iper-capitalizzati

L’iper-capitalizzazione di pochi titoli in borsa è sintomatica, quindi, della capacità di poche grandi multinazionali di controllare pezzi di mercato sul piano globale. E questo rischia di stravolgere i connotati del capitalismo come lo abbiamo conosciuto e che sinora è stato caratterizzato da un certo grado di concorrenza, oltre che da scarse barriere all’ingresso per la stragrande maggioranza dei mercati. Ancora più preoccupante, poi, che tanta concentrazione sia avvenuta in un piccolo angolo del pianeta, in quella Silicon Valley che non teme da tempo rivali. Intere aree geografiche come l’Europa sono sprovviste di big company anche solo lontanamente comparabili. E questo pone un problema di geopolitica, oltre che di economia e finanza in senso stretto.

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