L’Eurostat ha pubblicato ieri sui social un grafico sugli anni di lavoro in media che attendevano nel 2023 una persona di 15 anni nei 27 stati comunitari. E come ci saremmo aspettati, per l’Italia i dati rasentano l’estremo imbarazzo. Con una carriera di appena 32,9 anni, siamo il penultimo paese in classifica sopra la Turchia (29,9 anni). Ma c’è da dire che quest’ultima non fa parte dell’Unione Europea, per cui ci aggiudichiamo un primato poco lusinghiero. Con 32,2 anni la Bulgaria fa persino meglio di noi.

 Il grafico ci dimostra che negli stati del Nord Europa le carriere lavorative durino in media una decina di anni più che da noi: 43,7 anni in Olanda, fino ad arrivare al record di 45,7 anni in Islanda. Non a caso, il sistema previdenziale più sostenibile si trova proprio in Olanda, mentre in Italia ci troviamo dinnanzi a una vera e propria truffa delle pensioni.

In Italia si lavora meno che altrove

In Italia si lavora meno che altrove © Licenza Creative Commons

Incongruenze italiane

Siamo il Paese che manda prima i propri lavoratori in pensione, se guardiamo all’età effettiva di uscita dal lavoro intorno ai 62 anni. E, tuttavia, siamo anche il Paese in cui si lavora per meno anni in Europa. Anziché cercare di porre rimedio a questa incongruenza, la classe politica ha trasversalmente negli ultimi decenni cercato di allungare la lista delle eccezioni per anticipare l’età pensionabile a questa e quella categoria. Tra l’altro, a fronte di un calo costante e preoccupante delle nascite e di un invecchiamento progressivo della popolazione che ci pone tra gli stati al mondo fortunatamente più longevi.

Previdenza italiana non sostenibile

Riusciamo a capire perché nel resto d’Europa non ci capiscono? Vedono che abbiamo un enorme debito pubblico, accumulato in stragrande parte proprio per i “buchi” della previdenza.

Abbiamo dato vita nell’ultimo mezzo secolo a un sistema assistenziale improprio, imperniato sulle pensioni come ammortizzatore sociale di sostegno a tutte le fasce. L’idea di fondo suona più o meno così: mandiamo in pensione i lavoratori prima, così che facciano da badanti ai nipoti. Poco importa se questo sistema non sia da tempo sostenibile. Abbiamo anche il mercato del lavoro con la più bassa occupazione del continente, specie tra giovani e donne. Insomma, lavoriamo in pochi, per pochi anni e pretendiamo trattamenti durante la vecchiaia che altrove si sognano.

Ecco svelata la truffa delle pensioni. Si fa sperare la popolazione di poter lasciare il proprio lavoro ad un’età anticipata (anche di molto) rispetto a quella ufficiale dei 67 anni. Si generano continue eccezioni alla regola generale, tra l’altro creando iniquità tra categoria. Le quote di questi anni, ad esempio, hanno permesso il pensionamento anticipato soprattutto ai dipendenti pubblici. Senza voler generalizzare, non si tratta di categorie che svolgono lavori usuranti. Seguendo questa logica, dovremmo mandare in pensione ancora prima tutto il settore privato, specie chi svolge lavori manuali.

Truffa pensioni percepita all’estero

Come si fa a spiegare a un tedesco o uno scandinavo che un italiano possa lavorare fino a una decina di anni in meno per percepire assegni anche più sostanziosi e per un periodo più lungo? Queste incongruenze hanno radicato nel Nord Europa forti pregiudizi verso il Bel Paese. Nessuno capisce perché dovrebbe aiutare chi, dati alla mano, si rivela un privilegiato. La realtà ha mille sfaccettature, ma alla fine contano i numeri. Ed essi ci inchiodano alle nostre responsabilità, confermando all’estero la sensazione che sulle pensioni sia in atto una truffa da “Italian job”.

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