Le previsioni meteo non prospettano nulla di buono in Tunisia, dove la capitale si ritrova da giorni sotto una canicola opprimente. Nei prossimi giorni, le temperature sfiorerebbero i 50 gradi. E’ in questo clima incandescente che ieri sono tornati nel paese nordafricano la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, accompagnata dal premier olandese dimissionario Mark Rutte e dalla premier italiana Giorgia Meloni. Quest’ultima è già stata altre due volte in Tunisia nelle settimane scorse, la prima delle quali da sola.

Ha invitato il presidente Kais Saied a Roma per la Conferenza internazionale sulla migrazione di giorno 23 luglio. Le parti hanno firmato un “accordo strategico” ad oggetto proprio il tema migranti, così come anche l’economia e le energie rinnovabili.

Preoccupa crisi migranti

Da parte sua, la UE ha messo sul piatto 105 milioni euro per la lotta alla migrazione clandestina più altri 150 milioni di sostegno immediato all’economia e altri 900 milioni di aiuti di lungo termine. Tuttavia, questi esborsi restano subordinati al raggiungimento di un’intesa tra Tunisia e Fondo Monetario Internazionale (FMI) per l’erogazione degli 1,9 miliardi di dollari di prestiti già stanziati nell’ottobre dello scorso anno. Ed è qui che non si registrano i passi in avanti. Saied non accetta le condizioni richieste dall’FMI per erogare gli aiuti. Essi contemplano tra gli altri il taglio dei sussidi alle famiglie e la riduzione degli stipendi pubblici.

Meloni da mesi è in pressing sui colleghi d’Europa per convincerli a sostenere la Tunisia contro un crac rovinoso per la stabilità geopolitica del nostro continente. A corto di fondi, il paese nordafricano abbandonerebbe i controlli delle sue coste (anche per ripicca). Si stima che solo quest’anno da lì partirebbero 900 mila migranti in direzione Sicilia. L’ondata di sbarchi farebbe collassare i sistemi di accoglienza di tutta l’Unione. Dunque, cresce il pressing sull’FMI per arrivare a un esborso quanto prima della tranche.

Ma senza accordo sui termini, nessun passo in avanti.

Tunisia sull’orlo del crac

La Tunisia ha chiuso il 2022 con un debito pubblico pari all’80% del PIL, qualcosa come 37 miliardi di esposizioni, perlopiù verso creditori domestici. Il suo debito estero (pubblico e privato) valeva a fine 2022 circa 42,6 miliardi di dollari, di cui 14,2 miliardi a breve termine, cioè da rimborsare entro un anno. Ad aprile, però, le riserve valutarie ammontavano a soli 7,9 miliardi, sufficienti grosso modo a finanziare tre mesi di importazioni. Considerate anche che la bilancia commerciale tunisina è cronicamente passiva. L’anno scorso, segnava un deficit del 12,5% del PIL. In pratica, l’economia domestica non è per niente competitiva e non possiede una struttura produttiva capace di soddisfare la domanda interna.

Servirebbe una svalutazione del cambio per aumentare nel breve la competitività ed evitare una crisi della bilancia dei pagamenti. Da anni la Tunisia vi resiste, temendo tensioni sociali come quelle che nel 2010 portarono alla cacciata di Ben Alì, dittatore in carica sin dal 1987. Fu l’inizio della Primavera Araba. In apparenza, la Tunisia rimase unico caso di successo di quella stagione travagliata, essendo stata in grado di tendere alla democrazia pacificamente. Ma Saied ha sospeso il Parlamento e per molti osservatori internazionali starebbe introducendo un sistema autoritario. Comunque la si pensi, il default del paese non potremmo permettercelo. Troppo vicino alle nostre frontiere per non subirne l’ondata d’urto.

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