Non tutto ciò che luccica è oro. E se fosse il contrario? Tra la fine di febbraio e i primi giorni di marzo, migliaia e migliaia di persone nel piccolo villaggio di Luhihi sono state colte dall’euforia. A 50 km da Bukavu, capitale della provincia del Sud Kivu nella Repubblica Democratica del Congo, è stata scoperta una montagna stracolma di oro. Non sappiamo quale sia la quantità di metallo stimata, ma sta di fatto che moltissimi abitanti del luogo si sono recati in questo improvviso “Eldorado” muniti di pale, con le quali hanno picconato per giorni le rocce, staccandole dal terreno e portandole a casa, con l’auspicio di estrarne il metallo prezioso.

Le autorità di Kinshasa e quelle locali hanno imposto il divieto di estrazione di oro con mezzi “artigianali” e vietato persino agli stessi militari di recarsi nella suddetta montagna. La notizia ha fatto il giro del mondo e sono stati diffusi alcuni video che riprendono gli abitanti del villaggio mentre picconano le rocce.

La Repubblica Democratica del Congo non è nuova a queste scoperte. L’area del nord-est è ricca di minerali come oro, ma anche diamanti, rame, cobalto e uranio. Fino a pochi anni fa, le miniere erano perlopiù di proprietà di compagnie americane ed europee. Adesso, la gran parte appartiene a società cinesi. Molte violenze scaturiscono proprio per accaparrarsi le materie prime. Lo abbiamo appreso con la tragica uccisione dell’ambasciatore Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci, vittime di un’imboscata tesa probabilmente da un gruppo di ribelli locali.

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Il ruolo di “safe asset” dell’oro

Il fatto in sé non sarebbe isolato. Secondo un rapporto dell’ONU, il traffico di oro illegale nel paese africano sarebbe ordinario. Lingotti, che non vengono conteggiati nelle statistiche ufficiali sull’offerta annuale globale.

Quest’ultima si attesta mediamente tra le 2.500 e le 3.000 tonnellate. Si calcola che le miniere aurifere si esauriranno da qui al 2050. In fondo, se ci pensate bene è proprio questa carenza di offerta a rendere l’oro un bene da sempre considerato prezioso in ogni luogo, tanto da farlo diventare una riserva di valore e per molti secoli moneta esclusiva con cui effettuare i pagamenti.

Ancora oggi, l’oro assolve a tale compito, pur essendo stato soppiantato da un nuovo ordine monetario in cui le emissioni di banconote risultano del tutto slegate dalla quantità di metallo che ciascuna banca centrale detiene. Tuttavia, esso funge da “safe asset”, un porto sicuro in cui rifugiarsi nelle fasi critiche o quando c’è inflazione a minacciare il potere di acquisto. E se di oro non ve ne fosse così poco come tendiamo da sempre a credere? Cadrebbe l’impianto sul quale si regge la sua principale qualità.

Nell’ottobre scorso, nella regione della Siberia in Russia è stato scoperto un giacimento di oro da 40 milioni di once, pari a 1.134 tonnellate. Un paio di mesi prima, nella regione polacca della Silesia di tonnellate ne erano state scoperte ben 5.000. Parliamo di cifre elevatissime, specie se rapportate alla produzione ufficiale annua. Ma non dovremmo impressionarci. Sapete, ad esempio, che il Venezuela disporrebbe di oro nel sottosuolo per 10 mila tonnellate? Eppure, Caracas non riesce più neppure a farsi consegnare qualche tonnellata depositata alla Banca d’Inghilterra, rimanendo a corto di riserve con cui importare beni e servizi e provvedere ai pagamenti a favore dei creditori esteri.

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L’oro è davvero così raro?

E qui veniamo alla considerazione principale circa la reale quantità di oro disponibile: così come per altre materie prime, non tutto il metallo esistente in un dato luogo è anche estraibile.

Ragioni operative spesso impediscono alle compagnie di ricavarlo, così come altre di natura commerciale rendono spesso le estrazioni non convenienti ai prezzi correnti di mercato. Ad esempio, se per estrarre in un dato punto l’oro oggi mi costasse la media di 2.000 dollari l’oncia, considerando che sul mercato lo rivenderei oggi come oggi a circa 1.730 dollari, non avrebbe alcun senso ragionarci per il momento. O se per estrarlo avessi bisogno di capitali che non possiedo e per qualsivoglia ragione non intendo aprire al settore privato e/o all’estero, l’oro rimane non sfruttato nelle rocce. Succede al Venezuela “chavista”, così come allo Zimbabwe sotto Robert Mugabe prima e di oggi.

Infine, un ruolo importante lo giocano le banche centrali. Le prime dieci per quantità di oro ne posseggono più di 26.200 tonnellate, pari a circa 10 anni di produzione media e a quasi un sesto dell’intera produzione mondiale stimata dalla notte dei tempi ad oggi. Se tutto questo metallo venisse rilasciato in tempo breve sul mercato, il prezzo collasserebbe. Al contrario, se le banche centrali continuassero ad ammassare oro tra le riserve, cosa che stanno facendo in Asia (Russia, Cina, India e Turchia, in primis), l’offerta disponibile per il settore privato sarebbe ancora più bassa e le quotazioni schizzerebbero.

Questa storia, però, ci aiuta a capire un aspetto poco studiato dei metalli preziosi. I loro prezzi sono spesso oggetto di manipolazione da parte degli stessi attori del mercato. Da qualche decennio a questa parte, si è scoperto che i diamanti siano meno rari di quanto pensiamo, ma le compagnie che li estraggono li conservano nei caveau per provocarne la carenza e, quindi, renderli prodotti ambiti. Per l’oro il fenomeno sarebbe parzialmente diverso, nel senso che avrebbe a che fare più che altro con il traffico illegale che dimagrisce i dati ufficiali e con l’intervento delle banche centrali a tutto discapito dell’offerta complessiva.

E per quanto spiegato sopra, non è neanche detto che quella montagna congolese, per quanto ricca di oro, venga sfruttata in tempi rapidi e appieno.

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