E’ il giorno del giudizio per Ursula von der Leyen, che oggi cerca il bis come presidente della Commissione europea. In teoria, dispone di molti più voti dei 361 necessari all’Europarlamento per passare il test. Ma anche l’esperienza di cinque anni fa suggerisce molta prudenza per via dei “franchi tiratori”. Fossero anche solo una quarantina, la bocciatura arriverebbe. Per evitarla, ha adottato una sorta di politica dei due forni di democristiana memoria per noi italiani: ha aperto informalmente a destra, pur soltanto al gruppo dei conservatori di ECR capeggiato da Giorgia Meloni, al contempo trattando con i Verdi per ottenere il loro appoggio.

Von der Leyen appena bocciata da Corte UE

In virtù di queste trattative, i pronostici le sono molto favorevoli. Prosegue ancora fino a questa mattina, però, il dialogo con la premier italiana, indispettita con Francia e Germania per essere stata esclusa dall’accordo diretto sui “top jobs”. Reclama un commissario di peso per l’Italia, che sia vice-presidente e con deleghe pesanti in materia possibilmente economica. Il nome sarebbe di Raffaele Fitto e sul quale non sembrano esserci problemi di convergenza con la tedesca. Certezze sui numeri ce ne sono ancora di meno, dopo che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha ieri (che coincidenza!) condannato proprio la Commissione uscente per mancata trasparenza nella gestione dei vaccini anti-Covid.

Meloni pretende rispetto per Italia

Al di là dell’aspetto più politico della vicenda, emerge come l’Italia non sia trattata alla pari con potenze fondatrici come Francia e Germania. Questo non è accettabile. L’idea di escludere Meloni dalle trattative per via della sua appartenenza a un partito estraneo alla maggioranza uscente, non regge in piedi. A Bruxelles i partiti sono emanazioni dei poteri nazionali. I popolari per decenni hanno rappresentato la Germania e i socialisti la Francia.

Ma quando Macron arrivò alla presidenza senza un partito “tradizionale” alle spalle, si affiliò a un terzo gruppo – i liberali – mettendosene di fatto alla guida per portare acqua al suo mulino. E ci è riuscito. Perché per l’Italia non dovrebbero valere le stesse regole?

Meloni potrebbe essere tentata, anche solo per una ragione di forma, di ascoltare il discorso di questa mattina di von der Leyen prima di decidere se appoggiarla, astenersi o votarle contro. Tra i due c’è stata un’ottima sintonia in questo oltre un anno e mezzo abbondante di governo. Sarebbe molto rischioso mettersi contro. Bruxelles diverrebbe improvvisamente molto pignola sui nostri conti pubblici, smetterebbe di collaborare sul contrasto agli sbarchi di clandestini dal Nord Africa e farebbe le pulci al sistema bancario e industriale del Bel Paese.

Commissione europea non governo

Il solo fatto che la stampa italiana ne parli candidamente come se fosse un fatto normale, spiega molto della nostra sudditanza psicologica. In sostanza, dovremmo appoggiare chicchessia, altrimenti ce la farebbero pagare. Ma questa è politica o il modo di ragionare di un’organizzazione mafiosa? Sarebbe accettabile se scrivessimo “attenti, campani! Se votate per un governatore non allineato a Palazzo Chigi, a Napoli non vi manderanno più un soldo”?

Ciò premesso, il tema che sfugge a tutti sta nell’assenza di una vera visione della vecchia, così come della Commissione che sta per nascere. Il programma, che sta per essere sciorinato da von der Leyen, altro non è che la sommatoria delle richieste dei partiti che dovrebbero eleggerla. Parliamo spesso, giustamente, della scarsa capacità di Roma di guardare la futuro, concentrata com’è sul vivacchiare. Qui, andiamo ben oltre. Bruxelles avrebbe le dimensioni perfette per dire la sua nel mondo, ma è afona per il semplice fatto che non ha nulla da dire. E non ha nulla da dire, perché ci sono troppe voce al suo interno.

La Commissione non è un vero governo comunitario, bensì un apparato frutto di mediazioni senza anima e senza prospettive. Serve a garantire che tutti si sentano possibilmente vittoriosi e nessuno perdente.

Decisione oggi sui tassi BCE

Mentre von der Leyen ci spiegherà i miracoli che intende esibire nel prossimo lustro dopo quelli mancati nel passato, il dibattito a Francoforte sarà molto più terreno. Un’altra donna, neanch’ella dei miracoli, dovrà decidere e spiegare con convinzione possibilmente sufficiente se tagliare per la seconda volta o meno i tassi di interesse. Christine Lagarde quasi certamente opterà per una pausa, volendo prima verificare la prosecuzione della discesa dell’inflazione nell’Eurozona verso il target del 2%. Il punto è che se la Federal Reserve non si decide a tagliare anch’essa, la divergenza rischia di impattare negativamente sul cambio euro-dollaro, già debole. E se accadesse, i prezzi al consumo tornerebbero a salire.

Von der Leyen e Lagarde senza visione

Anche Lagarde è stata di recente risucchiata dalla sfera politica. In Francia il suo nome circola come possibile capo di un governo “tecnico” nel caso in cui Macron non riuscisse a trovarne uno per mettere d’accordo una maggioranza di deputati all’Assemblea Nazionale. Scenario difficile. Più probabile che la francese dia una mano alla sua patria alla guida della Banca Centrale Europea. Ora che i titoli di stato francesi sono percepiti meno pregiati di qualche mese fa, tassi più bassi faranno comodo anche a Parigi. Con von der Leyen hanno in comune l’assenza di visione su tutto. In pratica, l’una guida la politica fiscale ed economica più in generale e l’altra la politica monetaria. Nessuna sa per andare dove. Siamo in ottime mani.

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