Alle elezioni senza grosse aspettative il Venezuela di Nicolas Maduro. Domenica 28 luglio saranno chiamati a votare poco più di 21 milioni di cittadini. Sarebbero molti di più se non fosse che il regime “chavista” voglia precludere l’accesso ai seggi a milioni di venezuelani fuggiti all’estero per scampare sia alle sue violenze che alla fame. Le stime parlano di 3,5-5,5 milioni di aventi diritto che rimarranno senza scheda. Uno dei numerosi stratagemmi escogitati dalla dittatura per superare anche questa prova ai seggi.

Maduro minaccia bagno di sangue

Il principale sfidante di Maduro sarà Edmundo Gonzalez. Nei mesi scorsi non sono mancati gli arresti ai danni degli oppositori politici e di recente persino retate che hanno avuto nel mirino attività anche piccole che hanno ospitato gli avversari di Maduro durante i loro eventi elettorali. Come se non bastasse, il presidente in carica ha minacciato un “bagno di sangue” nel caso in cui fosse sconfitto. Parole che hanno imbarazzato il presidente brasiliano Lula, pur esponente della sinistra radicale e in rotta di collisione con Caracas sulla rivendicazione di questa dello stato della Guayana.

Le elezioni in Venezuela cadono in un momento apparentemente favorevole all’economia. Il Pil è stimato in crescita del 4,2% per quest’anno. Lo sostiene Ecoanalitica, istituto indipendente che in questi anni ha svolto un lavoro prezioso per capire le dinamiche macro in assenza di dati ufficiali. Lo stato andino sta estraendo la media di 820 mila barili al giorno di petrolio, in ripresa di 70 mila su base annua e del 20% rispetto a due anni fa. Le maggiori esportazioni stanno facendo affluire valuta estera con cui effettuare le importazioni. Tutto ciò è stato reso possibile dall’allentamento delle sanzioni americane sin dall’ottobre scorso.

Possibili nuove tensioni con Usa

Tuttavia, proprio le elezioni in programma nel Venezuela di domenica prossima rischiano di riaccendere tensioni con Washington.

Il regime non si mostra disposto a riconoscere alcuna sconfitta. C’è la seria possibilità che le opposizioni contestino i risultati, sui quali aleggiano sempre sospetti di brogli e vere manomissioni con il voto elettronico. L’aspetto più tragicomico di questa vicenda è che, attualmente, Caracas giubila per un’inflazione di poco superiore al 50%. E’ pur sempre il tasso più basso da oltre una decina di anni. Ciò sta consentendo al cambio di reggere sui mercati internazionali negli ultimi mesi.

Considerate che il Venezuela ha attraversato una grave fase di iperinflazione e di bolivar al collasso. Le banconote sono state ridenominate più volte e non si contano gli zeri che sono stati tolti ai tagli più elevati. Maduro è al potere sin dal 2013, quando succedette a Hugo Chavez, deceduto per cancro. Da allora lo stato dell’economia si è aggravato tra incompetenza e isolamento internazionale. Tra l’altro, Caracas è in default dalla fine del 2017 e non ha ancora avviato alcun processo di rinegoziazione del debito estero. I dollari in cassa scarseggiano. Basti pensare che, pur in ripresa, il paese estrae ad oggi meno di un terzo del petrolio di una dozzina di anni fa. E disporrebbe delle più grandi riserve al mondo con oltre 300 miliardi di barili.

Elezioni Venezuela senza illusioni

Il Venezuela che domenica andrà alle elezioni non si fa grosse illusioni su quello che accadrà dopo. Solo un cambio di regime spingerebbe velocemente e definitivamente fuori l’economia dalla crisi. Poiché è improbabile che avvenga, bisognerà accontentarsi di un modesto ritorno alla crescita dopo che il Pil è arrivato a perdere il 75% sotto Maduro. Neanche il nuovo approccio “morbido” della Casa Bianca nei confronti del regime sta servendo granché a democratizzare il processo elettorale. I “chavisti” lasceranno il potere solo da morti.

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