Ha ottenuto poco più del 52% dei voti contro quasi il 48% dell’avversario. Non un grande trionfo, ma la vittoria c’è stata e contro tutti i pronostici della vigilia del primo turno alle elezioni presidenziali del 14 maggio. Recep Tayyip Erdogan è stato rieletto presidente per altri cinque anni, quando già è al potere nel paese da venti anni. Un regno infinito, che la dice lunga sulla capacità dell’Occidente di capire le dinamiche socio-politiche in aree del pianeta contigue o lontane da esso.

In effetti, la sconfitta di Kemal Kiricdaroglu, a capo di un cartello di sei partiti che andavano dalla destra nazionalista alla sinistra kemalista, passando per l’appoggio esterno degli indipendentisti curdi, è stata un duro colpo sia per l’Occidente che per il cambio della lira turca.

Non è un mistero che le cancellerie di Nord America ed Europa tifassero per lo sconfitto. Erdogan era considerato politicamente spacciato in scia a numerosissimi sondaggi che lo davano nettamente dietro al principale sfidante. E’ finita che resterà capo dello stato fino al 2028. E questo dopo avere massacrato il cambio della lira, che ha perso più del 90% in dieci anni contro il dollaro, nonché devastando il potere di acquisto delle famiglie con un’inflazione fin sopra l’85% nell’autunno scorso e ancora al 43,7% in aprile.

Certo, certe scene aiutano a capire più di mille manuali di politologia. Uscendo dal seggio di Istanbul, dove ha votato, il presidente ieri ha distribuito davanti alle telecamere banconote di 200 lire (circa 9,50 euro) ai bambini presenti. In Occidente un atto simile sarebbe persino penalmente perseguito e attirerebbe la riprovazione sociale. Evidentemente, nella pur evoluta ed “europea” Istanbul l’acquisto del consenso in forma di palese voto di scambio non fa scalpore.

Svalutazione cambio lira rinviata solo con aiuti asiatici

Pur avendola fatta molto grossa, Erdogan continua ad essere padre e padrone della Turchia.

Le riserve valutarie, di oro compreso, si sono assottigliate paurosamente e minacciano una grave crisi della bilancia dei pagamenti. Il cambio della lira appare predestinato a una violenta svalutazione subito dopo le elezioni. Quasi impossibile che la banca centrale riesca ad arrestare i deflussi dei capitali, a meno che Erdogan non segnali con i fatti un cambio di policy a 180 gradi. Improbabilissimo. Ci sarà qualche aggiustamento, ma l’Erdogonomics rimarrà intatta. Il popolo, tutto sommato, gli ha dato ragione.

Non ci saranno passi indietro sul taglio dei tassi d’interesse. L’unico modo per impedire una svalutazione finanche del 30-35% sarebbe imporre forti restrizioni alla circolazione dei capitali. Tuttavia, Erdogan vorrà evitarlo per non intaccare la crescita economica. Ci sarebbe un’altra alternativa, resa possibile dai voltafaccia di Ankara in politica estera. Erdogan si è ritagliato un ruolo di mediatore nella guerra tra Russia e Ucraina, così come è sempre più vistosamente in rotta di collisione con l’Occidente praticamente su tutti i principali dossier. Non aiutano le storiche tensioni con la Grecia, che vede chiaramente l’Unione Europea schierata in difesa del suo stato membro.

Non a caso ad aprile la banca centrale saudita ha depositato presso la sua omologa turca 5 miliardi di dollari per rianimare le riserve valutarie e frenare il tracollo della lira prima delle elezioni. Questo sostegno è stato espressione della fiducia che Erdogan si è guadagnato negli ultimi tempi sia tra le petro-monarchie del Golfo Persico, sia verso Russia e Cina. Da queste economie potrebbero arrivare nuovi aiuti in difesa del cambio della lira. Ossigeno puro per un paese in preda ad una crisi valutaria praticamente inarrestabile almeno da cinque anni a questa parte.

Vittoria Erdogan sconfitta dell’Occidente, massacro in vista per lira turca

Ma nessuno può illudersi che eventuali assegni di emiri e Pechino possano sovvertire le leggi dell’economia per un lungo periodo.

La politica dei bassi tassi d’interesse non è sostenibile senza prosciugare del tutto le riserve valutarie e far restare la Turchia a secco di valuta straniera con cui saldare i debiti con l’estero o anche solo pagare per le importazioni di beni e servizi. La svalutazione resterebbe obbligata per dare sollievo alle riserve, ma al contempo alimenterebbe ulteriormente l’inflazione e richiederebbe ugualmente un aumento dei tassi d’interesse. Questa misura, quindi, sarebbe soltanto rinviata. Pensare il contrario sarebbe come andare contro le leggi della gravità. Ma i nuovi “amici” di Erdogan potrebbero donargli molto più tempo prima che debba fare inversione a U.

Del resto, i risultati elettorali parlano chiaro. Kiricdaroglu aveva promesso una politica euro-atlantica, oltre che maggiore ortodossima monetaria. Erdogan ha vinto sulla schema opposto: via dall’Occidente e avvicinamento alle potenze regionali asiatiche, oltre al blocco sino-russo, mantenendo tassi bassi e perpetuando l’assassinio del cambio della lira. I turchi hanno scelto da quale parte stare. Per l’Occidente una sonora sconfitta. Magra consolazione che il “sultano” sia stato costretto al ballottaggio. Erdogan non dimenticherà chi tifava per chi.

[email protected]