La furia elettorale di ieri ha travolto la Francia di Emmanuel Macron e la Germania di Olaf Scholz. Il primo ha sciolto l’Assemblea Nazionale e portato il Paese al voto anticipato per fine mese, quando sugli schermi delle reti nazionali è emerso che il suo partito è stato più che doppiato dal Rassemblement National di Marine Le Pen. La coalizione “semaforo” al Bundestag esce con le ossa rotte; insieme i tre partiti che la compongono ottengono meno di un terzo dei consensi e l’Spd del cancellerie crolla al terzo posto con appena il 14%.

I Verdi arretrano al 12% e i Liberali si attestano poco sopra la soglia di sbarramento del 5%. Avanza l’AfD al 15,6%, seconda formazione dopo la CDU-CSU al 30,30%. In Italia, il governo Meloni è l’unico tra i grandi Paesi ad uscire vittorioso. E questo inciderà sugli equilibri politici.

Da G7 in Puglia a vertici UE

Già la prossima settimana la premier terrà il G7 in Puglia. Da padrona di casa avrà gli occhi del mondo su di sé. Sarà un momento importante per affermare la propria leadership all’infuori dei confini nazionali e in vista della grande partita che si giocherà a Bruxelles sul rinnovo dei vertici comunitari. L’asse franco-tedesco si è molto indebolito, anche se risulta impensabile tenerlo fuori dai giochi. Macron e Scholz vorranno distribuire le carte, ma resta il fatto che i rispettivi partiti sono stati batostati alle elezioni europee. Oltre a loro, il premier britannico Rishi Sunak lascerà Downing Street a luglio dopo le elezioni anticipate e il presidente americano Joe Biden è in fortissimo declino di popolarità e influenza, anch’egli a rischio sfratto tra pochi mesi.

La maggioranza Ursula ha formalmente i voti per ottenere il bis, ma non è un mistero che la presidente della Commissioni flirti da mesi con la premier Meloni per garantirsi la rielezione grazie al sostegno suo e degli alleati conservatori che presiede.

L’Italia punta ad ottenere una carica di peso nella spartizione delle prossime settimane. Il piano A consiste nel portare a casa un commissario in un ruolo rilevante, cioè in quell’area economica che ci sarebbe di aiuto nei dossier sensibili che vanno dai conti pubblici all’industria, passando per l’Antitrust.

Stop agenda green

Giorgia Meloni vuole fermare quella che considera la “deriva” ambientalista, che tanti danni ha provocato in questi anni alle imprese europee in ossequio all’ideologia green. Il tracollo dei Verdi prefigura un abbandono della loro agenda e uno spostamento a destra della Commissione sul piano programmatico. Qui, la premier può giocare le sue carte. E’ a capo di un gruppo – l’Ecr – che ha ottenuto più di 70 seggi e che può fare da mediatore anche tra PPE e Identità e Democrazia, quest’ultimo il gruppo di Le Pen e Matteo Salvini.

Attenzione, all’Europarlamento non si formano maggioranze come nei Parlamenti nazionali, nel senso che non votano la fiducia al “governo” comunitario. Si limita ad eleggere presidente e commissari. Ciò rende più accettabile la formazione di maggioranze trasversali, impossibili nei contesti nazionali. Meloni vorrà ricavare il massimo possibile da questa tornata di nomine. Macron e Scholz non la hanno a cuore, ma dovranno trattare anche con lei la suddivisione delle principali cariche. Il piano del primo sarebbe di scompigliare i giochi proponendo il nome di Mario Draghi al posto di Ursula von der Leyen. Alla premier come piano B andrebbe bene, ma esso appare molto meno probabile dopo i numeri emersi ieri dalle urne e l’indebolimento del francese.

Meloni accresce statura internazionale

In definitiva, questo è il momento che Meloni aspettava per poter contare davvero. E le condizioni politiche ci sono tutte.

D’altra parte, in questo anno e mezzo abbondante di governo si è conquistata la fiducia delle istituzioni e cancellerie europee con una linea pragmatica. La liaison con von der Leyen potrà anche dare fastidio all’Eliseo, ma questi dovrà farsene una ragione. E considerate che, in vista delle elezioni presidenziali di novembre negli Stati Uniti, Meloni sarebbe anche l’unica interlocutrice capace di tenere i rapporti con l’eventuale amministrazione Trump. Tutti fattori che non si potranno ignorare. L’asse franco-tedesco non sarà più pigliatutto.

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