Per trovare livelli di cambio così bisogna tornare indietro al 1986, l’anno di uscita di Top Gun. Un dollaro scambia a circa 161 contro lo yen, soglia che non si vedeva per l’appunto da 38 anni a questa parte. Dall’inizio del 2024, la valuta nipponica perde il 12,4% contro il biglietto verde. E dire che 150 fosse considerata fino a qualche mese fa la soglia massima di tolleranza, oltre la quale la Banca del Giappone sarebbe intervenuta sul mercato forex per rimettere le cose a posto.

Era accaduto anche tra settembre e ottobre del 2022 e con successo. C’è da dire che tra il 26 aprile e il 29 maggio di quest’anno, per ammissione del Ministero delle Finanze, l’istituto è effettivamente intervenuto per 9.788,50 miliardi di yen (62,25 miliardi di dollari).

Cambi al vertice

E poche ore fa si è appreso che il massimo responsabile diplomatico della moneta, Masato Kanda, è stato rimpiazzato da Atsushi Mimura. Anche il vice-ministro delle Finanze, Eiji Chatani, sarà sostituito da Hirotsugu Shinkawa. In Giappone è proprio il Ministero delle Finanze a chiedere alla banca centrale di intervenire sul forex per manovrare il tasso di cambio dello yen.

Giappone vittima del carry trade

Quanto accade, confermerebbe che il governatore Kazuo Ueda starebbe trovando assai complicato tenere sotto controllo il cambio con interventi sporadici. I fondamentali continuano a deporre a sfavore dello yen. La banca centrale ha sì posto fine ai tassi negativi, ma portando il costo del denaro solo allo 0,10% contro il 5,75% negli Stati Uniti. E poiché la Federal Reserve ha rinviato il suo primo taglio a dopo l’estate – verosimilmente, a novembre – la pressione sullo yen s’intensifica per mezzo del cosiddetto carry trade. Il fenomeno consiste nel prendere a prestito denaro in economie in cui i tassi sono bassi per investirlo dove i tassi sono alti.

Dunque, i capitali partono dal Giappone per trovare impieghi più redditizi negli Stati Uniti e in Europa.

In effetti, ancora oggi esiste un enorme differenziale tra rendimenti americani e nipponici. La Banca del Giappone ha innalzato nel 2023 il rendimento massimo tollerato per la scadenza decennale all’1%. Attualmente, il bond a 10 anni offre l’1,05%, segnalando una certa disponibilità dell’istituto ad acconsentire ad una lievitazione dei rendimenti appena oltre la soglia-limite. Tuttavia, il Treasury di pari durata offre il 4,30%, oltre quattro volte tanto e +3,25%.

Yen sotto pressione fino a fine anno?

Questa situazione inizia a creare qualche apprensione a Tokyo. Rendimenti in crescita frenerebbero la caduta dello yen, ma farebbero esplodere negli anni il costo dell’altissimo debito pubblico, al 265% del Pil, il più alto al mondo. D’altra parte, un cambio troppo debole aumenta i costi delle importazioni e finisce per alimentare l’inflazione. A maggio, questa è risalita al 2,8%. Tokyo dovrà stringere i denti perlomeno per altri 3-4 mesi, fino a quando la Fed non segnalerà di voler avviare l’allentamento monetario. Se questo si rivelasse più soft delle già deboli attese, però, sullo yen si scatenerebbero ulteriori vendite. Per evitare questo scenario è probabile che Ueda continui ad alzare i tassi, pur di qualche decimale, ai prossimi appuntamenti del board.

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