Elezioni europee, perché è utile andare a votare anche turandosi il naso

Le elezioni europee sono vissute con fastidio da centinaia di milioni di cittadini del continente, eppure è importante andare a votare.
4 mesi fa
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Elezioni europee di giugno
Elezioni europee di giugno © Licenza Creative Commons

Tra il 6 e il 9 giugno ci saranno quasi 359 milioni di cittadini che avranno il diritto di votare alle elezioni europee per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo. In palio ci sono 720 seggi, distribuiti tra i 27 stati dell’Unione Europea in base alla popolazione. Saranno le prime dopo la Brexit, formalmente avvenuta alla fine di gennaio del 2020. Ma anche dopo la pandemia e l’inizio della guerra tra Russia e Ucraina. All’Italia spetteranno 76 seggi, ripartiti nelle cinque circoscrizioni di Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud e Isole.

Che tu sia un amante delle istituzioni comunitarie così come sono o uno dei tanti euroscettici, abbiamo un suggerimento: vai a votare!

Cittadini diffidenti verso elezioni europee

Ci sono tante ragioni per non amare l’Unione Europea nelle condizioni in cui versa da decenni. E’ diventata un mostro burocratico, paralizzata dagli egoismi nazionali e di fatto diretta da chi ha maggiore potere politico tra i governi. Il principio per cui tutti gli stati hanno pari dignità è solamente formale. I direttori d’orchestra sono stati e restano solo due: Germania e Francia. Tutti gli altri possono accettarne le decisioni o mitigarle attraverso l’arte del compromesso, ma la realtà è questa e negarlo è da naif. Lo stesso Europarlamento non ha potere di iniziativa legislativa come accade per una normale assemblea elettiva. E questo la dice lunga sui suoi poteri effettivi.

Le elezioni europee sono vissute con diffidenza, indifferenza o vero fastidio da gran parte dei cittadini di tutto il continente. In un certo senso, molti di noi hanno la sensazione che andare a votare o meno cambi poco gli assetti. Chi sogna gli Stati Uniti d’Europa, probabilmente non conosce la storia. Già l’assenza di una lingua unitaria impedisce il contatto diretto tra vertici comunitari e cittadini. Tanto per fare un esempio banale, se la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, girasse in Italia, come sta avvenendo in questi giorni, dovrebbe portarsi dietro un traduttore.

Non sarebbe in grado di interloquire con un cittadino del Bel Paese. E lo stesso vale per tutti gli altri leader.

Astensione non premia

Bruxelles non sarà mai Washington. Una triste dimostrazione ce l’ha offerta nel decennio passato la crisi dei debiti sovrani. Tra gli stati ci si è guardati in cagnesco per anni e il sostegno alla Grecia, in particolare, è avvenuto dietro stringenti condizioni. Negli Stati Uniti, la California è andata in default anche lo scorso anno senza che sia accaduto nulla di drammatico sui mercati finanziari. E, soprattutto, nessuno degli altri stati federali ha iniziato ad attaccarla. Il fatto è che quello è uno stato unitario, mentre l’Unione Europea è la sommatoria di stati-nazione indipendenti, ciascuno giustamente geloso delle proprie tradizioni, così come dei propri interessi.

Un tedesco non avverte l’esigenza di dare una mano a un greco. Non perché sia cattivo, bensì semplicemente perché appartiene ad un’altra nazione. Le elezioni europee non rimuovono queste limitazioni, per cui ci chiediamo effettivamente se abbia senso andare a votare sabato 8 e domenica 9 giugno in Italia. La risposta è affermativa, malgrado tutto. In primis, perché chi non esprime il proprio parere, non ha mai ragione. Gli astenuti non sono più furbi degli altri, al contrario sono persone che rinunciano a dire la loro.

Immobilismo figlio dei risultati elettorali

Secondariamente, non è poi così tanto vero che il voto non conta. Da queste elezioni europee potrà uscire fuori un quadro politico rinnovato. Le alleanze potrebbero cambiare, in meglio o peggio non sta a noi dirlo. Se arriva un segnale forte di desiderio di cambiamento, non potrà essere ignorato. I governi nazionali non hanno interesse a scontrarsi con le rispettive basi elettorali. Se ad oggi Bruxelles è rimasta immobile dinnanzi a un mondo che corre e si evolve, è perché i risultati del voto per l’Europarlamento non hanno autorizzato grandi cambiamenti.

Si fa tanta chiacchiera in Europa, ma la matita ha disegnato sinora un assetto immutabile.

Senza Unione Europea non saremmo liberi dalle regole

Soprattutto, nessuno immagini che senza Unione Europea staremmo certamente meglio. I governi avrebbero le medesime limitazioni in fatto di spesa pubblica e di tassi di interesse. Anzi, possibilmente dovrebbero scaricare sui cittadini maggiori sacrifici. Le leggi dell’economia non muterebbero in meglio se tornassimo all’era pre-UE. I mercati pretenderebbero ugualmente di essere remunerati per acquistare titoli del debito pubblico e arriveremmo al punto da non poterci permettere più di fare deficit. Dunque, non sono i commissari occhialuti a impedirci di spendere. E’ la regola aurea della vita.

Lo stesso per i tassi. La Banca Centrale Europea (BCE) è nel mirino degli euroscettici per il fatto di avere alzato il costo del denaro contro l’inflazione. Dimentichiamo che con la lira i tassi erano ben maggiori, spesso anche in termini reali. Fino al 2022 e per molti anni, la BCE aveva persino portato i tassi sottozero. In pratica, prestare denaro comportava perderne una parte. Si è spinta ben oltre i limiti del possibile. E per concludere, tutti invocano i dazi contro gli altri per proteggere le proprie produzioni nazionali. Qualcuno si è mai chiesto a chi venderebbe le proprie merci l’Italia in un contesto di mercati chiusi? Pensate forse che saremmo solo noi a limitare le importazioni e che gli altri continuerebbero a comprare il Made in Italy come nulla fosse?

Gigante economico e nano politico

Prendere atto di questo non significa ignorare l’esigenza che l’Unione Europea cambi. Anzi, è urgente che cambi o ci saranno macerie in tutti i sensi. Lo stesso Mario Draghi ha più volte avvertito che c’è il rischio che il nostro continente scivoli verso l’irrilevanza mondiale. In realtà, sta già accadendo.

Un enorme paradosso per la seconda area economica più ricca dopo gli Stati Uniti. Siamo giganti economici e nani politici, etichetta che un tempo era appiccicata alla Germania, di cui in fondo l’Unione è un’estensione.

Elezioni europee per lanciare segnale di cambiamento

Le elezioni europee dovranno segnalare questa volontà di noi cittadini di non morire strangolati di regole, burocrazia, incapacità decisionale e ideologia. L’ambientalismo senza compromessi si è impadronita di Bruxelles, picconando l’industria e gli interessi degli stessi consumatori. Tutto questo si può cambiare. Ma per farlo serve la matita, non le lamentele al bar. Non aiutano le candidature pittoresche dei partiti italiani, i quali segnalano di trattare l’Europarlamento come un magazzino in cui inviare le scorte della politica romana. Anche per questo l’Italia arranca storicamente nel difendere i propri interessi nazionali. Le idee camminano sulle gambe delle persone, ma se queste non sono in grado di compiere un solo passo, difficile che vadano avanti.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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