Si tiene oggi il primo turno delle elezioni presidenziali di Francia. Poiché quasi certamente nessuno dei 12 candidati in corsa per l’Eliseo otterrà la maggioranza assoluta dei voti validi, dovremo attendere il ballottaggio del 24 aprile per conoscere il nome del vincitore. Stando ai sondaggi, la corsa è tutta tra il presidente uscente Emmanuel Macron e la sfidante Marine Le Pen. I due si conoscono benissimo, essendo arrivati al ballottaggio proprio nel 2017. Allora, il giovane 39-enne e con alle spalle solamente una breve esperienza di ministro dell’Economia stravinse con oltre il 66% dei voti.
Stavolta, però, tra i due candidati la forbice sarebbe molto più stretta. E, soprattutto, negli ultimi giorni si starebbe riducendo ulteriormente, mettendo in allarme i mercati. Tant’è che il cambio euro-dollaro è sceso fin sotto 1,09. Al primo turno, la differenza tra i due sarebbe intorno ai 4-5 punti percentuali a favore di Macron. Nell’ipotetico ballottaggio, questi non vincerebbe più a mani basse, ma si fermerebbe intorno al 53-54%.
Le Pen è la leader della destra euro-scettica. Il suo partito cambiò nome dopo la sconfitta del 2017 da Fronte Nazionale a Raggruppamento Nazionale. Un atto di dediabolisation necessario per attirare il ceto moderato. Ha mutato anche toni e programma. Non punta più all’uscita dall’euro e dall’Unione Europea, bensì su temi più concreti e realizzabili come la lotta all’immigrazione clandestina. Al contempo, rimane la volontà di affievolire l’unione politica europea, tra l’altro indicendo un referendum per rendere il diritto francese preminente su quello europeo in patria.
Elezioni Francia test per l’euro
Se è vero che una vittoria di Le Pen non equivarrebbe più a uscita della Francia dall’euro, il messaggio che i mercati riceverebbero non sarebbe significativamente diverso. Implicherebbe la fine politica di Bruxelles e forse anche dell’unità occidentale contro la Russia di Vladimir Putin.
Dalla sua il 44-enne ha proprio la capacità di gestire i dossier europei con il piglio del leader. Tuttavia, i suoi viaggi a vuoto in Russia per fermare la guerra non ne hanno consolidato l’immagine di politico efficace. Sul piano interno, poi, le riforme economiche promesse sono state realizzate solo in parte, complice la pandemia. Ma ancora prima, le vivaci proteste dei ferrovieri avevano fermato il tentativo di varare la riforma delle pensioni.
Sta di fatto che queste elezioni presidenziali francesi ci consegnano ancora una volta un paese in cui i due partiti storici della Quinta Repubblica praticamente fungono da comparse. I Républicains candidano Valérie Pécresse, accreditata di consensi sotto il 10%. I socialisti praticamente non esistono. Pur schierando Anne Hidalgo, ex sindaco di Parigi di origini spagnole, non andrebbero oltre il 2-3%. Fino a cinque anni fa detenevano la presidenza con François Hollande. Al terzo posto arriverebbe Jean-Luc Mélenchon, leader di France Insoumise (Francia non sottomessa), partito della sinistra radicale e che otterrebbe tra il 15% e il 20% dei voti. Quarto sarebbe Eric Zemmour, comico di origini algerine ed ebraiche, a capo di un partito di estrema destra da lui stesso fondato: Riconquista.
Pro e contro di Macron
In definitiva, la Francia ha voltato le spalle a destra e sinistra tradizionali. L’ascesa di Macron nel 2017 fu la reazione trasversale dell’elettorato alle stanze del potere, percepite ammuffite e lontane dalla realtà. Se non fosse stato per la sua La Repubblica in Marcia, la vittoria di Le Pen sarebbe arrivata con ogni probabilità.
Adesso, la guerra. I francesi non sono granitici atlantisti convinti. Hanno da sempre voluto rimarcare le distanze dall’America, di cui si sentono amici, ma alla pari. Per questo il passato filo-putiniano di Le Pen non ha scandalizzato e probabilmente non inciderà sull’esito del voto in alcun modo. Sono altre le questioni che lo determineranno: la voglia di conservare i tratti caratteristici della società francese anche in economia contro una globalizzazione mai amata in questo angolo d’Europa; la salvaguardia del generoso sistema sociale nazionale; la sicurezza, specie nelle banlieus; l’integrazione difficile con gli immigrati di cultura non europea; la qualità del lavoro, ecc.