Psoe brutalmente battuto alle elezioni regionali in Spagna di domenica scorsa, alle quali sono stati chiamati a votare 35 milioni di cittadini. I socialisti del premier Pedro Sanchez hanno perso in nove delle dodici regioni alle urne, restando al potere in sole tre e per un vantaggio minimo. Il Partito Popolare ha vinto in otto, strappando agli avversari la guida di Valencia, Aragona, Isole Baleari ed Extremadura. Per governare avranno bisogno di Vox, la destra sovranista vicinissima a Fratelli d’Italia con cui condividono il gruppo ECR all’Europarlamento.
Un brutto risultato per la sinistra spagnola, quando mancavano sette mesi alle elezioni politiche in Spagna. Mancavano, perché dopo il disastro alle regionali il premier Sanchez ha rassegnato le dimissioni e ha anticipato il voto per il 23 luglio. Alla guida del governo nazionale dal giugno 2018, probabile che non otterrà un nuovo mandato dagli elettori. Lo dicono i sondaggi, anche perché al crollo dei socialisti si accompagna quello degli alleati di Podemos, il partito della sinistra radicale di Pablo Iglesias. Spariti i centristi di Ciudadanos, che fino a qualche anno fa si pensava che avrebbero raccolto l’eredità dei consensi del centro-destra tradizionale. Fatale è stato loro l’apparente flirt con i socialisti per la formazione del governo.
E la sinistra italiana sta per perdere definitivamente quello che propina da tempo come un modello da seguire per l’economia, particolarmente per il mercato del lavoro. I socialisti di Sanchez hanno irrigidito la legislazione sui contratti e ha innalzato il salario minimo legale a 1.080 euro al mese per 14 mensilità. Ma i risultati delle elezioni regionali in Spagna dimostrerebbero che non vi sia stata grande soddisfazione tra i cittadini circa l’esito di queste riforme. Soltanto poche settimane fa, la vice-premier Yolanda Diaz aveva attaccato a muso duro il governo Meloni, sostenendo che avrebbe spalancato le porte ai “contratti (di lavoro) spazzatura”.
Elezioni Spagna spazzano modello progressista
Col senno di poi, capiamo le ragioni di questo inasprimento dei toni trans-frontalieri. La crisi di consenso per i socialisti ha acceso gli animi tra i rappresentanti della izquierda. Sempre stando ai sondaggi, il Partito Popolare di Alberto Nunez Feijòo vincerebbe le prossime elezioni in Spagna, ma per governare avrebbe bisogno dei voti di Vox. Una prospettiva che inorridisce la sinistra, non solo spagnola. Questo asse sarebbe destinato a replicarsi a Bruxelles dopo le elezioni europee. Fratelli d’Italia sarebbe l’epicentro di questo schema, con la premier Giorgia Meloni intenta ad allearsi con il PPE e spostare a destra il governo comunitario. A farne le spese sarebbe Ursula von der Leyen, che perderebbe la presidenza con ogni probabilità a favore di un altro tedesco: Manfred Weber.
Ovviamente, i presupposti perché questo schema diventi realtà sarebbe che PPE e ECR avessero la maggioranza assoluta dei seggi e che il PSE arretrasse elettoralmente. Non è un mistero che l’alleanza tra PPE e PPE sia stata voluta dall’ex cancelliera Angela Merkel, in quanto rispecchiava esattamente il modello di governo tedesco basato sulla Grosse Koalition. Lo spettro della fine di tale alleanza sta spingendo non solo la sinistra, ma anche i liberali di Emmanuel Macron a inveire contro il governo italiano per cercare di far naufragare una possibile alternativa politica a Bruxelles.
Tornando a Roma, il fronte progressista ha perso un riferimento importante su salario minimo e regolamentazione del mercato del lavoro. Non è stato solo un colpo per il Partito Democratico, ma anche per l’altro grande partito all’opposizione: il Movimento 5 Stelle. Anche perché in Grecia domenica 21 maggio ha trionfato il centro-destra al governo, pur perdendo la maggioranza assoluta dei seggi per effetto della nuova legge elettorale.