Elezioni USA, ecco cosa cambia se oggi Obama perderà il test di metà mandato

Oggi si tengono in America le elezioni di "mid-term" per il rinnovo di tutta la Camera dei Rappresentanti e di un terzo del Senato. I Repubblicani sarebbero in vantaggio. Ecco cosa accadrebbe se Barack Obama perdesse oggi il voto.
10 anni fa
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Si vota oggi negli USA per le elezioni di “mid-term”, quelle di metà mandato, che come sembrano segnalano il giudizio dei cittadini americani sull’amministrazione, a due anni dalle elezioni presidenziali. Stando un pò a tutti i sondaggi, i Democratici del presidente Barack Obama dovrebbero perdere la partita contro i Repubblicani. In ballo ci sono tutti i seggi della Camera dei Rappresentanti e 33 dei 100 seggi al Senato. Sembra quasi certo che i Repubblicani manterranno la maggioranza alla Camera, mentre più problematico è il caso del Senato, dove la destra potrebbe arrivare a 49 seggi, i Democrats si fermerebbero a 46 seggi e resterebbero in bilico 5 seggi, sempre stando ai sondaggi.

L’economia va, ma non convince

Il punto è chiedersi che cosa accadrà, se Barack Obama perderà le elezioni di metà mandato. L’economia USA è in gran ripresa. Nel terzo trimestre è cresciuta del 3,5% annuo, dopo il +4,6% dei tre mesi precedenti, il dato più alto dal 2003. Quest’anno, si sono creati mediamente 200 mila posti di lavoro al mese, tanto che la disoccupazione è scesa al 5,9%. Al contempo, passi in avanti si sono registrati anche sul fronte del deficit federale, che si è attestato nell’anno fiscale conclusosi a settembre al 2,8% del pil, pari a 483,4 miliardi di dollari. L’apice fu raggiunto nel dicembre 2009 col 10,1% del pil. La discesa del deficit è, tuttavia, frutto anche dei rendimenti tenuti bassissimi proprio dalla Federal Reserve. Si pensi che i Treasuries a 10 anni hanno reso mediamente quest’anno il 3,04%, la metà del 6,09% medio dei trenta anni precedenti. Cosa accadrà, però, ora che i tassi tenderanno al rialzo?   APPROFONDISCI – Gli USA sono schiavi del debito: tragedia da 60 mila miliardi di dollari   In ogni caso, la popolarità di Obama è ai minimi storici per un presidente, con un tasso di approvazione di appena il 42%. Non pare, infatti, che la ripresa si sia tradotta in maggiore benessere per gli americani, avvantaggiando per lo più le poche famiglie detentrici di pacchetti consistenti di azioni, obbligazioni, le quali si sono giovate dell’immensa liquidità a tassi zero pompata dalla Fed sui mercati in questi 6 anni.

Divisi sulle tasse

Repubblicani e Democratici sono divisi, in particolare, sulla politica fiscale. Non è un caso che Obama abbia fatto appello agli elettori, affinché vadano a votare, domandando loro retoricamente se preferiscono che le tasse siano tagliate sugli stipendi o in favore dei milionari. Il presidente ha imbracciato negli anni scorsi una dura battaglia contro la destra proprio sul taglio delle tasse, che vorrebbe limitato al ceto medio e ai redditi più bassi, mentre sui redditi maggiori preferirebbe alzare la tassazione. I Repubblicani credono, al contrario, che le tasse vadano tagliate a tutti, perché solo così si stimolano i consumi, gli investimenti e l’occupazione. Difficile, però, che anche con la maggioranza in entrambi i rami del Congresso, i Repubblicani riescano a spuntarla contro la Casa Bianca sui temi-chiave dell’economia. Anzitutto, perché Obama avrebbe sempre l’arma del diritto di veto, con cui potrà respingere, ad esempio, qualsivoglia tentativo di menomare l’Obamacare, la riforma sanitaria voluta proprio da lui e che è da pochi mesi entrata in vigore. Secondariamente, perché la stessa destra USA ha capito che arrivare fino al punto di bloccare le attività governative, come accadde un anno fa con il famoso “shutdown”, che tenne fermi i servizi federali non essenziali per 3 settimane, non giova elettoralmente. Lo “shutdown” e le furenti trattative che portarono nell’agosto del 2011 sull’orlo del default tecnico hanno disgustato gli elettori di destra e di sinistra, che hanno addossato la responsabilità del caos a entrambi i partiti e a 2 anni dalle presidenziali, i Repubblicani saranno attentissimi a non commettere errori di immagine troppo clamorosi.

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La fine dei tassi bassi?

Su un punto, però, l’aria potrebbe cambiare: la politica monetaria. A dire il vero, il governatore della Fed, Janet Yellen, ha già cessato gli stimoli monetari e si accinge ad alzare i tassi da qui ai prossimi mesi, probabilmente tra aprile e giugno del 2015. I Repubblicani potrebbero spingere per una stretta monetaria più veloce, dopo avere accusato duramente il predecessore Ben Bernanke di avere “assassinato” il dollaro e di avere creato le condizioni per una nuova crisi finanziaria. Nonostante la Yellen non dipenda formalmente dalle indicazioni del Congresso, qualora i Repubblicani vincessero credibilmente alla Camera e al Senato e s’imponessero negli orientamenti elettorali da qui al 2016, il governatore della Fed non potrebbe ignorare il segnale, anche in previsione di una sua conferma alla guida dell’istituto, che oggi come oggi non ci sarebbe, se alla Casa Bianca dovesse arrivare un Repubblicano.   APPROFONDISCI – Finisce l’era del QE e la Yellen sorprende ancora. Ad aprile il primo rialzo dei tassi USA?  

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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