Prima o poi ci toccherà rivalutare il caro vecchio sistema di voto italiano, visto che ormai non ci sono elezioni negli USA senza ritardi nei conteggi delle schede e sospetti sul funzionamento delle macchine ai seggi. Una cosa è certa: i repubblicani hanno conquistato di misura la maggioranza alla Camera, ma non hanno sbaragliato al Senato. Qui, occorrerà attendere il ballottaggio in Georgia a dicembre per capire chi avrà la maggioranza dei seggi. Ai mercati, comunque, l’idea che la destra abbia vinto in almeno un ramo del Congresso piace.
Un Congresso metà in mano alla destra e metà alla sinistra (al Senato, in caso di pareggio, c’è il voto della vice-presidente Kamala Harris a sbloccare la situazione a favore dei democratici di Joe Biden) sarebbe lo scenario paradossalmente più gradito al mondo della finanza. E dire che gli investitori prediligono sempre la stabilità politica e l’efficienza delle istituzioni. Invece, se la Camera va a destra e il Senato a sinistra, l’America rischia seriamente di restare paralizzata nei prossimi due anni. I programmi dei due partiti si sono radicalizzati nell’ultimo decennio e i punti d’incontro si sono ridotti all’osso. Soprattutto, nessuno dei due vuole mostrarsi cedevole nei confronti dell’avversario in vista delle elezioni presidenziali nel 2024.
Proprio questo piace ai mercati. Da cosa scaturisce il paradosso? L’economia americana è afflitta dall’alta inflazione. La Federal Reserve ha alzato i tassi d’interesse al 4% a inizio mese, ma ad ottobre l’indice dei prezzi al consumo risultava cresciuto ancora dell’8,2%. Rispetto al picco estivo, la decelerazione appare troppo lenta. Di questo passo, il governatore Jerome Powell sarà costretto ad alzare i tassi sempre più in alto fino a provocare recessione economica e tracollo ulteriore dei mercati finanziari.
Risultati elezioni USA freno al deficit
E perché non succede già? Per il semplice fatto che, pur venuti meno gli stimoli monetari, restano elevati gli stimoli fiscali. Nel 2021, il deficit pubblico è esploso al 12,4% del PIL, toccando i 2.500 miliardi di dollari. Quest’anno è sceso a 1.375 miliardi, restando pur sempre al 5,8% del PIL. Per l’anno prossimo è atteso a 1.200 miliardi, al 4,5%. Pur sottraendo la spesa per interessi, ancora nel 2023 il disavanzo primario sarà pari al 3%. In altre parole, il governo federale continua a spendere troppo. Questa politica lassista sostiene la domanda interna, ma allo stesso tempo anche i prezzi al consumo.
E, dunque, c’è bisogno di legare le mani al governo. Prima ancora che accada, ciò sarebbe in grado di “raffreddare” le aspettative d’inflazione. E tanto basterebbe alla FED per frenare la stretta sui tassi. L’economia eviterebbe forse una recessione rovinosa e i mercati si salverebbero da un nuovo tonfo. Niente meglio di una paralisi istituzionale garantirebbe tutto questo. E tutti sanno che la destra non potrà realizzare nulla del suo programma senza conquistare la maggioranza in entrambi i rami del Congresso. E non è detto neppure che basti, perché il governo userebbe i poteri ampi di cui è dotato per opporsi ai progetti più ambiziosi degli avversari.
La vera scommessa dei mercati non sarebbe che la destra, vincendo, realizzi il suo programma, bensì che impedisca alla sinistra di realizzare il proprio e nel frattempo lo stallo freni la corsa del debito pubblico. Esso è destinato a superare i 33.000 miliardi di dollari entro il 2024. E secondo il Congressional Budget Office, entro il 2050 raggiungerebbe il 217% del PIL.