Era la fine di febbraio quando Elly Schlein vinceva a sorpresa le elezioni primarie del Partito Democratico, ribaltando i pronostici e, soprattutto, i risultati dei circoli. Praticamente, gli iscritti al partito avevano votato a larga maggioranza Stefano Bonaccini, gli elettori “liberi” l’ex stagista alla campagna elettorale di Barack Obama. Qualcuno lo definirebbe, anzi lo definì, scontro tra base e dirigenza. Sarebbe vero se il PD rappresentasse tutto il centro-sinistra e coloro che andarono a votare alle primarie fossero stati certamente tutti o quasi elettori di quel partito.
Dieci segretari in sedici anni
Ed è così che, non essendo stata iscritta al PD fino a poche settimane prima di diventarne segretaria, Elly Schlein ha potuto vincere le primarie facendo probabilmente leva su moltissimi elettori che il PD neppure lo hanno votato e che non hanno intenzione di votarlo alle prossime elezioni. Elettori della sinistra dura e pura, tanti “grillini”, ecc. Sta di fatto che al Nazareno c’è da cento giorni la prima donna segretaria, decimo leader in appena sedici anni. La statistica dice che vi resterà poco più di un anno e mezzo. Può sempre essere smentita dai fatti. Se non fosse che i fatti ci dicono che dopo tre mesi e mezzo scarsi dalla vittoria, Elly Schlein sembra una stella cadente del centro-sinistra.
Nel mirino dei dirigenti e dei parlamentari, adesso criticata anche dalla stampa amica che la accusa di essere “evanescente” e priva di contenuti. “Business as usual”. Nel PD è la sorte spettata a qualsiasi segretario appena eletto. Non è solo destino, bensì un masochismo che va avanti dalla genesi. Dalla fondazione nel 2007 ad oggi, i democratici non hanno mai eletto un segretario che sia lo stesso che li aveva portati alle elezioni.
Mettetevi nei panni di un deputato o un senatore. Siete stati eletti grazie all’inserimento in lista di un segretario non più in carica. Quello nuovo appartiene a una nuova corrente politica e, in ogni caso, ha la sua cerchia di amicizie. Avreste due opzioni: fare i “lecchini” con il nuovo arrivato nella speranza di essere ripresentati in lista e in posizioni “eleggibili” o osteggiarlo per far sì che arrivi alla segreteria un altro uomo dalle posizioni a voi più vicine anche sul piano delle amicizie. In altre parole, come fu per tutti i predecessori, Elly Schlein non gestisce i gruppi parlamentari. Hai voglia a pretendere di avere una strategia comunicativa per risalire la china. I primi a non seguirla saranno i suoi stessi uomini nelle istituzioni.
Vacilla sostegno PD a Ucraina
Ma Elly Schlein ci sta mettendo del suo. Da “papa straniero” qual è – ripetiamo, non iscritta al PD fino a pochi mesi fa – ha da poco nominato Paolo Ciani vice-capogruppo alla Camera, al posto di Piero De Luca, figlio del vulcanico governatore campano Vincenzo. Con questa mossa rischia grosso per svariate ragioni. La prima è che Ciani, subito dopo l’elezione, ha tenuto a precisare di non essere iscritto al PD, né che intende farlo. Bella botta di autorevolezza per un partito, di cui un esponente rimarca le distanze. E Ciani è vicino alla Comunità di Sant’Egidio, contrario al sostegno all’Ucraina (non parliamo neppure dell’invio di armi), così come all’utero in affitto. Insomma, dove si gira si gira scontenta qualcuno.
E quel De Luca tanto inviso a Elly Schlein sarà pure antipatico, ma è uno dei due soli governatori del PD nel Centro-Sud.
Elly Schlein di sinistra sui temi semplici
Elly Schlein crede in modo sempliciotto che per sterzare a sinistra il PD basti parlare di omofobia, maternità surrogata e migranti. Non affronta la parte difficile, cioè le politiche comunitarie sostenute a Bruxelles proprio dal PD e che impediscono, o perlomeno restringono fortemente, i margini di manovra dei governi per fare quelle “cose di sinistra” tanto gradite alla segretaria. Facile buttarsi sul salario minimo, che allo stato non costa nulla, ma che pesa sulle imprese. Altrettanto facile strizzare l’occhio ai commissari sulla patrimoniale, quando l’Italia è già un’economia tartassata a ogni fase di produzione e godimento della ricchezza. La cosa più complicata sarebbe per il PD battere i pugni a Bruxelles per reclamare flessibilità fiscale e per ottenere un vero salvagente incondizionato a beneficio dei titoli di stato. Ma sarebbe troppo di sinistra persino per Elly Schlein.