Ci risiamo, Elon Musk ha twittato. E quando lo fa, di solito, qualcosa in borsa si muove.
Ad essere presi di mira, ultimamente, sono le criptovalute; in particolare, le sue preferite: bitcoin e dogecoin.
Possiamo dire che negli ultimi tempi il patron di Tesla è riuscito a fare il buono e il cattivo tempo delle 2 cripto.
Elon Musk, nella sua recete dichiarazione, ha praticamente scaricato i bitcoin, rimangiandosi tutto quello che aveva detto soltanto poche settimane fa.
Cosa è successo? Semplice, Musk ha appena scoperto (si fa per dire) che i bitcoin inquinano.
Elon Musk affossa i bitcoin
La storia d’amore tra il patron di Tesla, Elon Musk, e la più famosa tra le cripto, i bitcoin, sembrerebbe volgere al termine.
Soltanto qualche mese fa, lo vogliamo ricordare, Musk aveva acquistato grandi quantità di bitcoin, dichiarando, tra l’altro, che avrebbe accettato gli stessi come mezzo di pagamento per le auto Tesla. Ovviamente, in quel frangente, le sue dichiarazioni avevano fatto letteralmente volare il prezzo della cripto. Oggi invece ci ripensa: i bitcoin non vanno più bene e il motivo, spiega Musk, è che i inquinano troppo.
“Siamo preoccupati per il rapido aumento dell’uso di combustibili fossili per l’estrazione e le transazioni di bitcoin, in particolare di carbone, che ha le peggiori emissioni di qualsiasi combustibile”; è il recente tweet di Elon Musk, che aggiunge: “la criptovaluta è una buona idea e crediamo che abbia un futuro promettente, ma questo non può avere un grande costo per l’ambiente”.
Il prezzo dei bitcoin, neanche a dirlo, è immediatamente crollato del 16% scendendo da un massimo di 51.000 ad un minimo di 46.045 euro.
I bitcoin non sono eco-friendly
Che i bitcoin non siano uno strumento green lo si sa praticamente da sempre.
Il processo di ‘mining’ del bitcoin, infatti, richiede l’elaborazione di complessi calcoli che possono essere effettuati da computer molto potenti e processori ad alte prestazioni, i quali, di conseguenza, necessitano di moltissima energia.
Secondo un team di ricercatori dell’Università di Cambridge, l’elaborazione a livello mondiale della moneta consuma una quantità di energia elettrica pari al fabbisogno dell’intera Argentina.
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