Il clima non è buono né a Francoforte e né a Bruxelles. E non stiamo parlando di un pessimo inizio di primavera, quanto delle avvisaglie di emergenza economica nell’Unione Europea, specie in una parte di essa. In questi giorni, diversi membri del board BCE hanno reso dichiarazioni improntate perlopiù alla prudenza sull’uscita dal piano di stimoli monetari. Ma è emersa una contrapposizione sempre più forte tra “falchi” e “colombe”. In rappresentanza dei primi, il governatore austriaco Robert Holzmann ha auspicato che la riduzione degli acquisti dei bond con il PEPP possa iniziare nel terzo trimestre di quest’anno, ossia in estate.
Affermazioni del tutto contrarie allo spirito di quelle rese dall’italiano Fabio Panetta, il quale ha auspicato che la BCE non lesini gli sforzi nel caso in cui non riuscisse a surriscaldare l’inflazione. Nel frattempo, la Commissione europea si è impantanata sulle vaccinazioni anti-Covid e resta impotente dinnanzi alla sospensione della ratifica per il Recovery Fund imposta dalla Corte Costituzionale tedesca. Insomma, le prospettive di un’emergenza economica più catastrofica delle già pessime previsioni si rafforzano.
Ma procediamo con ordine. La BCE monitora con preoccupazione la risalita del tasso d’inflazione, non perché questi sia elevato (1,3% a marzo nell’Eurozona), quanto per la sua velocità. Man mano che i prezzi al consumo accelerano, i rendimenti sovrani seguono e le emissioni di debito pubblico nell’area si fanno più costose. Di questo passo, tra alcuni mesi l’istituto non potrebbe più giustificare il notevole apparato di stimoli monetari varato per affrontare l’emergenza economica provocata dalla crisi sanitaria.
Emergenza economica combattuta a mani nude?
La parola d’ordine di questa fase è “coerenza”. A fronte di una politica monetaria ultra-espansiva, anche quella fiscale dovrà fare fino in fondo la sua parte. E’ ciò che ha chiesto proprio Panetta. Ma l’Eurozona non ha una politica fiscale comune, per cui i governi devono arrangiarsi da soli.
A questo servirà il Recovery Fund da 750 miliardi, di cui 390 in sussidi. Il problema è che la Germania non lo ratificherà da qui a breve e potrebbe rinviarne il debutto. A quel punto, la coerenza di cui sopra verrebbe meno. La politica fiscale non sarebbe di aiuto a quella monetaria per offrire sostegno all’area contro l’emergenza economica in corso. Tassi di mercato in rialzo e minori aiuti dei governi alle categorie colpite dalla pandemia. Questo lo scenario che avanzerebbe. Senonché, proprio gli stati maggiormente beneficiari del Recovery Fund rischiano di essere colpiti anche dal tracollo del turismo.
Il triplo shock minaccia l’euro
L’Italia otterrà 81 miliardi di euro di sussidi, la Spagna 73, la Grecia 19 e il Portogallo 16. Certo, al netto dei contributi da versare il beneficio netto risulterebbe inferiore, ma il senso del discorso non cambia. Se il debutto del Recovery Fund fosse rinviato o le condizioni di accesso venissero inasprite a seguito dell’attesa sentenza tedesca, questi diverrebbero gli stati più colpiti. Non solo. I ritardi nelle vaccinazioni stanno rinviando le riaperture e colpendo per il secondo anno consecutivo la stagione turistica. E guarda caso, sempre i suddetti stati ne risulteranno i più colpiti, dipendendo maggiormente dalle presenze straniere.
Il Sud Europa rischia seriamente il collasso economico, finanziario e sociale. Non che il nord se la stia passando bene, ma almeno parte da condizioni nettamente migliori. L’emergenza economica di quest’ultimo anno interviene su un tessuto produttivo e sociale già reso debole dalla crisi del 2008.