Quanto accaduto in Svizzera con l’azzeramento delle obbligazioni subordinate di Credit Suisse senza che altrettanto sia stato effettuato per le azioni, nell’Unione Europea non esiste. L’ennesima rassicurazione è arrivata ieri da Andrea Enria, l’italiano a capo della Vigilanza alla Banca Centrale Europea (BCE). Nel corso di un’audizione all’Europarlamento, ha smentito che vi sarebbero legami tra la crisi delle banche americane e la situazione negli Stati Uniti. Ha sostenuto che il modello bancario americano sia diverso e ha visto una forte concentrazione dei rischi e delle esposizioni ai rialzi dei tassi d’interesse, contrariamente all’Europa in cui la liquidità delle banche resta adeguata.
Il precedente del 2011
Dobbiamo compiere un passo indietro di circa undici anni e mezzo. Siamo nel primissimo autunno del 2011. La crisi dello spread era già divampata nell’Area Euro e colpiva duro BTp e Bonos dopo che Grecia, Irlanda e Portogallo erano finiti in bancarotta. Nicolas Sarkozy e Angela Merkel, a capo rispettivamente di Francia e Germania, pretesero che si facesse chiarezza sulle esposizioni bancarie verso i bond sovrani, dato che questi ultimi avevano perso parecchio valore negli ultimi mesi. E fecero pressione proprio su Enria per ottenere la valutazione mark-to-market dei titoli di stato. La conseguenza fu devastante: la tempesta finanziaria contro BTp e Bonos si acuì al punto da portare alla caduta contemporaneamente dei governi di Spagna e Italia.
Accadde, infatti, che le banche europee colsero il segnale di cessare gli acquisti dei bond più a rischio.
Rischi per BTp da proposta Enria
Cambia il ruolo, ma non la posizione di Enria sul tema. Gli occhi puntati sui BTp rischiano di alimentare una crisi di fiducia verso i nostri titoli di stato tra le stesse banche italiane e non solo. Il sistema finanziario italiano detiene oltre 1.000 miliardi di euro di debito pubblico domestico, il 38% del totale. Con l’uscita della BCE dai programmi di acquisto, la domanda di BTp dipende in misura crescente dagli investitori privati. E tra questi sono proprio le banche italiane a fare la parte del leone. Ma se la Vigilanza lancia il segnale che questi bond dovrebbero essere iscritti al loro prezzo di mercato, il rischio è che prevalgano le vendite nei prossimi mesi, in previsione di possibili perdite legate alla stretta sui tassi.
Sul piano formale la richiesta di Enria non è insensata, perché se un asset è considerato parte della liquidità di una banca, è naturale che debba essere valutato al suo valore corrente e non nominale per fare emergere la reale condizione finanziaria dell’istituto. Tuttavia, ci sono momenti e momenti per cambiare le regole in corsa. E farlo con le banche che falliscono proprio per le perdite accusate sui portafogli obbligazionari a seguito del rialzo dei tassi, appare obiettivamente un harakiri di cui nessuno avverte il bisogno nell’Area Euro.