Da qualche mese si è acceso un dibattito ancora parzialmente sotterraneo in Europa sulla legge di stabilità del governo Renzi, che non ha potuto ricevere l’imprimatur della Commissione europea, la quale ha rinviato alla primavera prossima il suo giudizio, in attesa di valutare meglio i dati. Ha fatto parecchia impressione a Bruxelles il fatto che Matteo Renzi abbia presentato una manovra finanziaria di una trentina di miliardi di euro, di cui la metà in deficit. Avvalendosi della flessibilità richiesta e ottenuta, il premier ha annunciato anche il varo di un piccolo taglio delle tasse, tra cui quello dell’ex IMU sulle prime case.
L’irritazione dei commissari è stata palpabile, perché sui conti pubblici viene concessa dalla UE flessibilità, solo al fine di realizzare quelle riforme strutturali con effetti spesso di medio-lungo termine, che pesano politicamente e anche economicamente spesso nel breve. Renzi ha mostrato, invece, non solo di avere “abusato” delle concessioni europee, ma di volere scardinare un paradigma, come il premier stesso ha voluto precisare ai suoi parlamentari, nel corso di un’assemblea del PD, quando ha dichiarato che “le tasse si tagliano in deficit, altrimenti non potrebbe tagliarle mai nessuno”.