I fautori dei tagli in deficit
Sulla base dell’equivalenza ricardiana, ad esempio, si sostiene che un paese con un alto livello di indebitamento pubblico tenderebbe ad accumulare alti risparmi privati. Ciò sarebbe dovuto alla consapevolezza delle famiglie che quel debito dello stato dovrà prima o poi essere rimborsato dai figli e dai nipoti, ai quali saranno devoluti generosi lasciti, proprio in considerazione dell’aggravio a cui andranno incontro. Possono apparire concetti abbastanza teorici, ma negli anni Ottanta e seguenti, il caso dell’Italia sembrò confermare la tesi: a fronte di un rapporto debito/pil spaventosamente alto, la ricchezza privata accumulata dalle famiglie era altrettanto elevata.
Dunque, se il governo tagliasse le tasse in deficit, il rischio è che non solo si creerebbe un buco di bilancio, che in futuro dovrà essere colmato con altre imposte o comunque con risparmi di spesa, ma anche che non si verifichi quell’impatto positivo sull’economia, a causa della scarsa influenza sui consumi. D’altra parte, la scuola keynesiana sostiene che proprio il carattere espansivo di una misura fiscale stimolerebbe l’economia. Se si coprisse il taglio delle tasse con risparmi di spesa, infatti, il beneficio sarebbe attenuato o anche azzerato, poiché da un lato si libererebbero risorse in favore delle famiglie, dall’altro si ridurrebbe proprio il loro reddito complessivo. Il risultato netto potrebbe essere anche negativo, secondo questa impostazione, se la riduzione delle tasse andasse a beneficio di contribuenti con una minore propensione al consumo (redditi medio-alti) di quelli a cui è stato sottratto reddito con i tagli della spesa pubblica.