Il caso americano
Ebbene, si direbbe che la maggiore efficacia della “reaganomics” potrebbe essere frutto di più fattori: in primis, fu realizzata dopo la potente recessione di inizio anni Ottanta, per cui si potrebbe presumere che il taglio delle tasse del 1983 fu colto dalle famiglie come l’occasione per riprendere a consumare; fu ritenuta una politica economica credibile, perché il governo si era impegnato a tagliare contestualmente la spesa pubblica e ad abbattere il deficit e l’inflazione.
Dunque, sarebbe stata la maggiore
credibilità l’elemento trainante della ripresa dei consumi, mentre dagli studi emerge che le famiglie affette da vincoli di liquidità non solo non avrebbero speso maggiormente i dollari risparmiati dalle minori tasse, ma persino meno della media generale. Che cosa ci segnala questo brevissimo excursus della teoria di Barro-Ricardo e degli studi sulle politiche fiscali espansive? Che la credibilità dei governi resta essenziale per l’ottenimento di un beneficio visibile sull’economia. Se i contribuenti avvertissero che le tasse fossero loro tagliate in deficit, intravedendo un aumento in furturo, non ripartirebbero né i consumi, né gli investimenti. E l’Italia ha un grosso problema di credibilità, trattandosi dello stesso paese, in cui 2 anni fa fu sbandierata la cancellazione dell’IMU, salvo scoprire pochi giorni dopo che all’imposta si fosse solo cambiato il nome. Più in generale, gli italiani non nutrono grossa fiducia sulla capacità dei loro governi di tagliare stabilmente la spesa pubblica, perché sanno che larga parte dei consensi politici si fondano su di essa. Pertanto, pensare che senza risparmi di spesa ci si possa mostrare credibili verso famiglie e imprese è un azzardo. Renzi non avrebbe un problema con l’Europa, ma con l’economia privata italiana, che gli potrebbe voltare le spalle.