La notizia è giunta come un fulmine a ciel sereno: il presidente Erdogan ha licenziato il terzo governatore della banca centrale in poco più di un anno e mezzo. A distanza di appena quattro mesi e mezzo dalla sua nomina, Naci Agbal è stato destituito a favore di Sahap Kavcioglu, economista e membro dell’Akp, il partito islamico-conservatore al governo dal 2003. A renderlo noto è stato ieri sera un decreto presidenziale, che no ha fatto cenno ai motivi dell’ennesimo licenziamento.
Nagbal era stato nominato al posto di Murat Uysal solamente agli inizi di novembre e aveva caratterizzato la sua politica monetaria dal tentativo di recuperare la credibilità perduta dalla banca centrale, alzando i tassi per tre volte dal 10,25% al 19%.
Il primo licenziamento era avvenuto nel luglio del 2019 ai danni di Murat Cetinkaya, accusato di avere portato avanti una politica monetaria eccessivamente restrittiva e con effetti negativi sulla crescita economica. Il vice Uysal venne prescelto per la sua maggiore vicinanza e adesione alla visione del governo, ma nell’autunno scorso era stato mandato a casa per l’incapacità dimostrata di mettere un freno all’inflazione da un lato e all’indebolimento della lira turca dall’altro.
La Turchia torna ad alzare i tassi contro l’alta inflazione: lira e bond in ripresa
Bond turchi in caduta libera?
Sotto Agbal, il cambio contro il dollaro era arrivato a rafforzarsi del 20% in tre mesi, pur cancellando i guadagni di quest’anno nelle ultime settimane, a causa della ripresa delle esternazioni negative sull’operato dell’istituto da parte di alcuni membri dell’esecutivo.
Il passo compiuto da Erdogan spazza via definitivamente la residua reputazione della banca centrale, la cui autonomia dal potere politica si conferma essere inesistente. La lira ha perso circa l’80% nell’ultimo decennio e l’inflazione a febbraio è salita al 15,6%, quando quasi ovunque nel mondo si attesta su valori minimi, se non negativi. E ancora devano materializzarsi gli effetti dei rialzi delle quotazioni petrolifere, dato che la Turchia praticamente importa quasi tutta l’energia che consuma.
La reazione dei mercati al licenziamento di Agbal si attende molto pesante. I bond sovrani assisteranno verosimilmente all’ulteriore esplosione dei rendimenti lungo la curva sulle previsioni di un’inflazione ancora più alta. Il cambio sarà probabilmente difeso per un po’ ricorrendo alle già magrissime riserve valutarie, ma l’espediente si rivelerà effimero. La Turchia rischia serissimamente una nuova crisi finanziaria come quella di tre anni, quando la lira arrivò a collassare del 45% e i tassi dovettero essere alzati fino al 24%, mentre l’inflazione galoppò a un massimo del 25%. Nessuna speranza di una gestione monetaria efficiente sotto Erdogan. E i fondamentali macro restano pessimi, tra saldi di partite correnti e bilancia commerciale cronicamente e profondamente negativi.