Le donne dovrebbero potere ereditare dai genitori le stesse quote dei fratelli maschi. Una ovvietà, che non vale negli stati mussulmani, dove si segue alla lettera un precetto del Corano, che recita “la quota di un uomo uguale a quella di due donne”. E così, il presidente tunisino Beji Caid Essebsi, 90 anni, ha invitato il Parlamento a riformare la legge sull’eredità, consentendo allo stesso tempo alle donne di sposare un uomo non mussulmano, esattamente come ad oggi possono fare gli uomini con le donne di qualsiasi altra fede religiosa, senza che queste siano costrette a convertirsi all’islam.
Nello stato nordafricano, da sempre fautore di un islam moderato e compatibile con la laicità delle istituzioni, si è così aperto un dibattito, che sta alimentando tensioni più all’estero che in patria. Il vice grande imam egiziano di Al-Azhar, Abba Shuman, autorità religiosa massima nel mondo sunnita, pur ribadendo di non volersi intromettere negli affari di stato della Tunisia, ha spiegato di non potere rimanere in silenzio dinnanzi a un sovvertimento delle parole del Corano, sostenendo che la riforma propugnata dal presidente Essebsi sarebbe “ingiusta per le donne e non in linea con la Sharia”. (Leggi anche: Arabia Saudita, donne sempre più integrate al lavoro)
La difficile gestione della Primavera Araba
Lo stesso capo di stato tunisino, nel proporre tali cambiamenti, ha ammesso che potrebbero risultare incompatibili con le sacre scritture, ma ha aggiunto che se si tratterà di reinterpretarle, ben venga. L’uomo è da sempre un laico e proviene da una ricca famiglia terriera. La Tunisia è stata l’epicentro delle Primavere Arabe. Qui, tutto nacque nel 2011, quando un venditore ambulante si diede fuoco per protestare contro il sequestro del furgone con cui lavorava da parte delle autorità, a causa della mancanza della licenza. Morì dopo settimane di agonia, scatenando le proteste di migliaia di giovani, in particolare, che non intravedevano alcun futuro nel paese, dove si registra un elevato tasso di disoccupazione, specie giovanile.
Le proteste portarono alla cadute dell’anziano dittatore Ben Alì, in carica sin dal 1987, ma che aveva plasmato come il predecessore Habib Bourguiba (1957-1987) le istituzioni nazionali secondo un modello prettamente occidentale. E così, da decenni le donne in Tunisia non solo non sono costrette a portare il velo, ma proprio il primo presidente dopo l’indipendenza dalla Francia, Bourguiba, lo definiva “uno straccio disgustoso”. Chi lo indossa è stata in passato oggetto di scherno e persino di esclusione dal mondo degli affari.
E le donne tunisine possono divorziare dal marito come un uomo, mentre una legge del 1973 vieta ancora loro di sposare un non mussulmano, tranne che questi non si converta all’islam. Nel 2014, il Parlamento ha approvato all’unanimità una legge che chiude alla possibilità per chi commette uno stupro di evitare il carcere sposando la vittima. Si consideri, poi, che un terzo dei deputati tunisini è donna, percentuale più alta di paesi avanzati come Italia e Australia, così come il tasso di occupazione femminile qui si attesta al 27%, molto basso per gli standard occidentali, per niente nel mondo arabo. (Leggi anche: Primavera Araba e il tragico fallimento di Obama)