Sono salite a quattro le perdite di gas segnalate dalle autorità svedesi e relative a presunte esplosioni alle condutture Nord Stream 1 e 2, di cui un paio nella zona economica svedese. Soltanto Nord Stream 1 era attivo, mentre il 2 era stato allestito alla fine del 2021, ma non aveva ricevuto ancora le dovute autorizzazioni dalla Germania. Sta di fatto che il sabotaggio ai gasdotti rischia di porre una pietra tombale sull’industria europea. Per capire perché, vi segnaliamo due grafici:
I prezzi alla produzione in Germania sono esplosi nel mese di agosto del 7,9% su luglio e del 45,8% su base annua.
Nel frattempo, in Cina l’aumento dei prezzi alla produzione in agosto è sceso ai minimi da 18 mesi al 2,3%. Rispetto a luglio, segnano -1,2% e seguono il -1,3% del mese precedente. Nel complesso dei primi 8 mesi, segnano +6,6%. Negli USA, prezzi in calo su base mensile dello 0,1% e in crescita su base annua dell’8,3%.
Capite perché questi numeri ci paventano il rischio di una distruzione veloce dell’industria europea? Di questo passo, i costi di produzione in Europa diverranno insostenibili. La competitività del continente è già parzialmente venuta meno, se è vero che siamo passati in fretta dall’essere un’economia esportatrice al diventare un’economia importatrice. Lo segnala il passivo della bilancia commerciale. Il valore delle nostre esportazioni non raggiunge più neppure quello delle importazioni.
Industria europea a rischio scomparsa
Già in questi mesi, conviene importare prodotti come l’acciaio dal resto del mondo, anziché produrli in casa.
Le esplosioni nei gasdotti Nord Stream 1 e 2 allontanano di parecchio persino la prospettiva di una normalizzazione sul piano energetico in Europa. Saremo costretti a subire i forti aumenti di prezzo del gas per l’intera fase di transizione, cioè per tutto il tempo in cui dovremo rimpiazzare la Russia con fornitori alternativi e parte del gas stesso con le rinnovabili. Certo, esistono ancora i gasdotti via terra tra Russia ed Europa. Ma nessuno sottovaluti quanto accaduto nel Mar Baltico.
Per salvare l’industria europea, gradualmente Bruxelles sarà costretta, su pressioni degli stati nazionali, a introdurre crescenti tariffe doganali e non. I consumatori europei si troveranno in trappola: dovranno tollerare tassi d’inflazione elevati per evitare uno scenario di desertificazione manifatturiera. Un impoverimento globale, che spingerà il pianeta sull’orlo di una nuova Grande Depressione, alla quale siamo sfuggiti per un pelo con la crisi finanziaria del 2008. Se non è la fine della globalizzazione tout court, lo è quasi certamente di questo tipo di globalizzazione. L’era dei mercati aperti, iniziata circa un trentennio fa, è stata seppellita sotto le bombe nel Donbass.